TRIESTE. Lo sceneggiato televisivo dell’anno, mezzo secolo fa nel 1974, fu “Anna Karenina” di Sandro Bolchi, tratto dal capolavoro di Lev Tolstoj. Ultimo esempio della stagione dei grandi sceneggiati (oggi si chiamerebbero miniserie) diretti da Bolchi per la Rai e tratti da celebri opere letterarie (dopo “I miserabili”, “I promessi sposi”, “I fratelli Karamazov”), “Anna Karenina” vide concludersi la sua lunga e laboriosa lavorazione (ben sei mesi di interni a Roma ed esterni a Firenze) proprio a Trieste. Era il 29 luglio di 50 anni fa quando si battè il primo ciak in città nella Stazione di Campo Marzio, diventata per l’occasione la Stazione di Mosca.
Caratterizzavano la location scritte in caratteri cirillici, una fontana, vari emblemi e busti di personaggi dell’epoca zarista. Davanti a una “folla di curiosi” (“Il Piccolo”, 30 luglio), la stazione nuovamente “fin de aiècle” brulicava di “gran dame e nobili, straccioni e popolani”, dove in pieno inverno nella finzione (e con una gran fatica per gli attori, perché in realtà la temperatura superava i 30° all’ombra) avveniva l’incontro tra Anna (Lea Massari) e il fratello (proprio l’inizio del “teleromanzo”, come veniva chiamato allora).
Così, dopo “Morte a Venezia” di Luchino Visconti nel 1970, dove sempre Campo Marzio riviveva come stazione del capoluogo lagunare, e dopo “Il padrino-Parte II” di Francis Ford Coppola nell’aprile dello stesso 1974, dove la Pescheria era la newyorkese Ellis Island, con “Anna Karenina” ecco che per la terza volta in poco tempo Trieste prestava simboli della propria architettura nobile e duttile all’immagine cinematografica di altre città. E Campo Marzio sarebbe diventata negli anni Duemila sullo schermo anche stazione di Torino (per “Cuore” di Maurizio Zaccaro) e di Zurigo (per “Einstein” di Liliana Cavani).
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Lo stesso regista di “Anna Karenina” Sandro Bolchi spiegava all’epoca sul “Piccolo” il perché della sua scelta triestina: “Una città inconfondibile nella sua fisionomia, ma allo stesso tempo aperta agli influssi delle diverse civiltà che vi hanno lasciato la propria impronta, cosicché sotto il profilo artistico e culturale essa rappresenta un caso unico di ambiente ricco di umori e di fermenti quanto mai stimolanti”.
Il regista si rendeva quindi perfettamente conto che Trieste, “città proteiforme, dai mille aspetti”, grazie alla varietà di stili architettonici poteva trasformarsi nell’immagine fittizia di molteplici altrove, alimentando in seguito il mito di Trieste “o del nessun luogo” (Jan Morris).
Bolchi, nato a Voghera nel 1924, era però di fatto anche un triestino adottivo. Da studente negli anni ’30 aveva abitato in via Franca 15 perché il padre ligure, di mestiere capitano, trasferiva la famiglia secondo il lavoro. Così aveva frequentato le scuole tra Fiume, Pesaro e Trieste, ma solo in questa città, al liceo Dante, la sua formazione fu decisiva: “Da ragazzo ho vissuto molti anni a Trieste – raccontava – il mio professore è stato Giani Stuparich e io sono cresciuto con il culto di Svevo” (e nel 1988 avrebbe adattato per la tv anche la “Coscienza”). Qui inoltre Bolchi aveva esordito come attore di teatro al “Guf” di Trieste, e negli anni ’70 era stato direttore artistico dello Stabile fino al giugno 1974, quando si era dimesso per i “molteplici impegni”, fra i quali proprio la complessa realizzazione di “Anna Karenina”.
Non fu un caso quindi che le riprese in città del popolare sceneggiato si tennero, fino al 10 agosto, oltre che a Campo Marzio, in diversi luoghi caratteristici che Bolchi (dopo aver pensato in un primo tempo come set alla Russia o alla Bulgaria) presumibilmente ben conosceva. Si andava dalla stazioncina ferroviaria di Rozzol al Giardino pubblico di via Giulia (con la scena del caffè all’aperto), dalla chiesa greco-orientale di San Nicolò (con la celebrazione del matrimonio) all’interno del Teatro Verdi.
Ma il cuore delle riprese di “Anna Karenina” fu la storica, imponente ed elegante stazione di Campo Marzio. Originariamente denominata Sant’Andrea nel 1887 e secondo scalo ferroviario di Trieste, riedificata nel 1906 e inaugurata dal principe ereditario Francesco Ferdinando, diventò capolinea della nuova ferrovia Transalpina che collegava la città a Vienna passando per Gorizia. Progettata dall’austriaco Robert Seelig, già autore delle stazioni di Gorizia e Linz e di edifici a Vienna, si richiamava agli archetipi delle stazioni del grande architetto della Secessione Otto Wagner, che ne aveva realizzate una quarantina nell’Impero.
Chiusa al servizio passeggeri dal 31 dicembre 1958 dopo la soppressione della linea per Erpelle (il treno della Val Rosandra), Campo Marzio restò vuota fino al 1970, quando questo fantasmatico edificio abbandonato incantò Visconti che vi girò alcune scene di “Morte a Venezia”. Un copione destinato a ripetersi appunto quattro anni dopo, quando Bolchi entrò a Campo Marzio per ambientarvi “Anna Karenina”.
Ricordiamo però che oltre al fascino d’epoca, il successo di questo sceneggiato sul piccolo schermo, 50 anni fa, fu dovuto anche alla straordinaria protagonista. “Ho trovato in Lea Massari, attrice non convenzionale – dichiarò Sandro Bolchi al “Piccolo” –l’Anna con la A maiuscola, un volto e una voce perfettamente aderenti al personaggio, non certo facile, della signora della buona borghesia moscovita, che per amore di un ufficiale lascia marito e figlio”.