Avevo in animo di scrivere una riflessione sull’opera di Luigi Iannone dal titolo “Sopravvivere al pensiero unico. Breviario contro il conformismo della nostra epoca” (Historica, Giubilei Regnani, pp.134, euro 14), poi mi sono giunte immagini surreali della cerimonia d’apertura di Parigi 2024 e ho pensato che proprio questo decadente sabba del pacchiano potrebbe essere la più luminosa recensione dell’ultima fatica del giornalista campano. Il Dioniso blu dinanzi alla parodia dell’ultima cena sembra direttamente uscito dalla scenetta del Marchese del Grillo di Monicelli, quando la bella Olympia (curioso gioco del destino) si trova a competere con gli imbellettati castrati che non sopportano donne cantanti a teatro. Ecco che la realtà supera la commedia.
Ci si ritrova pienamente in quel processo che Iannone sintetizza così: “Il tentativo di modificare il profilo identitario personale o collettivo (o almeno, ciò che ne resta) in modo che si possa ancor più velocemente degradare nel kitsch”. Oggi siamo apertamente ben oltre il kitsh, siamo nel confuso scarabocchio del deforme, nella sovversione carnascialesca permanente, nell’esibizione del brutto come stato d’animo di un Occidente da TSO. Tutto questo non facciamo che ripeterlo abbastanza spesso, ma le energie residue di voci insignificanti come le nostre nulla possono rispetto all’egregora del deforme, a questo pensiero collettivo di bruttezza deificata, costantemente alimentato da ogni energia psichica, sociale, economica, mediatica.
Più il pensiero collettivo viene nutrito di energia, più si diffonde e vive quasi di vita propria. Ma ciò ne rivela anche la provvisorietà, la debolezza intrinseca, l’illusorietà. Iannone parla di “un’avvolgente ragnatela in cui rimane imprigionato non solo il singolo individuo, ma ogni caposaldo della nostra civiltà”. Indaga così le ragioni profonde, i movimenti del pensiero, gli addentellati politici e sociali di questa ragnatela letale, ci aiuta a districarci nello sgomento dinanzi alla sovversione dilagante. Il libro di Iannone offre squarci di grande chiarezza e profondità sulle malattie dell’Occidente contemporaneo, ha il vantaggio di essere un libro agile, che si legge tutto d’un fiato, scritto in maniera mirabile, ricco di rimandi di grande interesse. E ha il pregio di recare una illuminante prefazione di Marcello Veneziani che ne sintetizza come segue la proposta: “Alla fine la risposta a cui attenersi vale come manuale di sopravvivenza e di resistenza; ma pur sempre delimitato al singolo, a pochi e al nostro arco di vita. Tema troppo grande, risoluzione troppo piccola. Ma chi ne trova un’altra credibile e praticabile è pregato di farcelo sapere”.
Insomma, dinanzi al pensiero unico strabordante della trimalcionica contemporaneità, Iannone offre una risposta che è una ricerca e una sintonizzazione fra tradizione e modernità, da praticare individualmente ed estendere ai contesti sociali, politici, comunicativi. Si richiama così, pur senza esplicitarlo, ad un pensiero Jungeriano, al tentativo di un eterno ritorno un po’ – absit iniuria verbis – “democristiano”, cioè capace di adattare il passato che ritorna ai contesti, alle sfide del presente “affrancandolo da incrostazioni e idealizzazioni”. Chi scrive è invece un fermo sostenitore dell’eterno ritorno dell’uguale, e predilige al “passaggio al bosco” di jungeriana memoria un più classico e mediterraneo “passaggio al mare”. Quel mare il cui nocchiero per Pindaro è la dea Thyche Salvatrice (XII Olimpica), la Sorte che conosce ogni piega del tempo.
Un mondo che non ripudia il tempo circolare e non deride gli dèi, è destinato a naufragare. Non l’isolamento del bosco e neppure le cure palliative di un compromesso fra passato e presente, possono salvarci dalla decadenza che è destino. E’ l’ideale, è la bellezza, è il mare che riluce d’oro al di là dei suoi abissi, è la luce antica di Apollo, è l’armonia perfetta delle forme umane innestate nella natura che sempre germoglia, è l’eternità suprema di Thyche che vince ogni conformismo, ogni decadenza, ogni degrado antropologico. Perciò occorre non farsi mai assorbire dalle forze oscure che incalzano la provvisorietà del presente, la sua “ipertrofia”, come la definisce Iannone. Occorre invece essere certi dell’eternità dell’ideale, della forza dell’immateriale antico che prima o poi spazzerà ogni caricatura dell’umano e sulle acque tempestose di un Occidente in agonia farà calare la bonaccia di un nuovo inizio, di una nuova luce, si delineerà in una nuova scintillante linea dell’orizzonte.
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