Resilienza è un termine diventato “di moda” negli ultimi anni. Una parola usata e abusata in ogni aspetto della nostra vita, con un intrinseco riferimento anche a decisioni politiche, sociali ed economiche. Per quel che riguarda il mondo della tecnologia, si è spesso parlato di resilienza informatica, con promesse che si sono perse nell’enorme calderone dei “vorrei, ma non posso” (o “potrei, ma non voglio”). Sta di fatto che oggi il mondo intero ha l’occasione di fermarsi e riflettere sul futuro della dipendenza – in ogni aspetto della nostra vita – dai prodotti e servizi offerti “generosamente” dalle aziende Big Tech. Il punto di partenza di quest’analisi sul dove siamo e dove vogliamo realmente andare è rappresentato dal bug di CrowdStrike che ha paralizzato l’intero globo.
Se è vero che “solamente” 8,5 milioni di pc Windows sono stati colpiti da questa falla nell’aggiornamento del software di sicurezza informatica (sì, fa già ridere così) Falcon Sensor, sono stati esponenzialmente più tangibili gli effetti. Basta che l’1% dei computer su cui “gira” il sistema operativo di Microsoft non funzioni per bloccare il mondo. Da venerdì scorso a oggi, non tutti i dispositivi sono tornati a funzionare correttamente, nonostante le istruzioni per rimuovere manualmente il bug e il tool reso disponibile nelle ultime ore. E c’è anche di più: parallelamente al caos generato da CrowdStrike, in rete si sono diffusi malware e campagne di phishing che sfruttano il caos generale per spingere gli utenti ad agire in modo tale da compromettere la propria sicurezza informatica.
E sullo sfondo ci sono i social. È bastata una “trovata” di un giornalista e debunker belga per dare vita alla più classica catena della disinformazione sui social (in particolare su X e Telegram). È bastato che un account si fingesse un uomo al primo giorno di lavoro in CrowdStrike e che fosse sua la responsabilità del bug nell’aggiornamento, per creare una bolla di condivisioni di un qualcosa che aveva solamente un intento ironico. Anche su questo dovremmo riflettere, dando il giusto peso alle dinamiche social e concentrandosi sui reali effetti della nostra dipendenza da Big Tech.