Un piano che era stato annunciato nel lontano 2019, seguendo l’esempio di due dei principali concorrenti (Firefox di Mozilla e Safari di Apple). Poi una serie di rinvii, l’ultimo datato maggio 2024, prima del colpo di scena annunciato poche ore fa: Google ha rinunciato alla rimozione automatica dei cookie di terze parti sul suo browser Chrome. Una mossa destinata a far discutere, soprattutto perché la prima fase (che ha coinvolto l’1% degli utenti mondiali) era stata avviata ufficialmente – e finalmente – il 4 gennaio scorso. Ora, invece, lo stop a quel programma – chiamato Privacy Sandbox – che aveva attirato l’attenzione di tanti.
Come noto, infatti, Google Chrome è il browser più utilizzato a livello globale. Dunque, la rinuncia automatica ai cookie di terze parti – quelli che, quando stati visitando un sito, raccolgono le tue abitudini e preferenze di navigazione per consentire alle agenzie pubblicitarie di proporti banner pubblicitari personalizzati -, svilisce quell’approccio cookieless richiesto a gran voce anche dalle associazioni e dalle autorità che si occupano di tutela della privacy degli utenti. Un passo indietro che, quindi, non può passare inosservato, soprattutto perché ha farlo è una delle aziende più importanti del mondo. E non solo di quello tecnologico.
Questa decisione rappresenta anche una forma di auto-tutela per Google. Ovviamente, stando al nuovo piano, sarà il singolo utente a decidere se accettare o meno di essere tracciato dai cookie di terze parti navigando all’interno di Chrome. E lo potrà fare – secondo le indicazioni – attraverso un prompt nelle impostazioni del web browser. Facendo così, lasciando una libertà di scelta consapevole (?) all’utente, l’azienda di Mountain View non potrà essere accusata da chi si occupa di spazi pubblicitari nel mondo digitale di “pratica anti-concorrenziale”. Una bella trovata. Anzi, una bella furbata.
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