Quella di giovedì rappresenta un giornata storica per l’editoria italiana. Agcom ha infatti pubblicato – rendendolo ufficiale – il primo provvedimento relativo alla determinazione dell’equo compenso agli editori. Il caso riguardava il Gruppo GEDI (che controlla, tra gli altri, i quotidiani La Repubblica e La Stampa) e Microsoft, azienda proprietaria del motore di ricerca Bing. Non si conoscono le cifre economiche di quanto la società di Redmond dovrà versare, ma sono stati rese note le percentuali e le aliquote di riferimento. Inoltre, ora si ha contezza di sette criteri presi in esame che saranno utili anche per tutte le altre richieste avanzate.
Il provvedimento di Agcom, però, non è esente da critiche. Non è stato, infatti, approvato all’unanimità: la Commissaria Elisa Giomi – che aveva già espresso perplessità su alcuni elementi del Regolamento per la determinazione dell’equo compenso in favore degli editori, ha messo in luce alcune criticità. In particolare, si è concentrata sul concetto di “estratto molto breve” che l’Autorità ha inserito all’interno della determinazione del pagamento delle aziende agli editori. Il problema? Sia la Direttiva Europea sul Copyright che il decreto legislativo con cui l’Italia l’ha recepito sostengono che questi “estratti molto brevi” non debbano rientrare all’interno del calcolo dell’equo compenso.
Dunque, questo potrebbe essere un appiglio a cui le grandi aziende fornitrici di servizi informatici (Google, Meta e Microsoft, per citare le principali) potrebbero appellarsi per un eventuale ricorso che bloccherebbe – ancora una volta, e anche in attesa del giudizio finale della Corte di Giustizia Europea – i reali effetti del Regolamento Agcom. Anche perché, occorre ricordarlo, la procedura non è così semplice: un editore può rivolgersi all’Autorità solamente dopo aver tentato la strada di una trattativa “privata” con il fornitore di servizi.
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