In un coro abbastanza unanime di apprezzamento per la decisione dell’Agcom sull’equo compenso che Microsoft deve riconoscere alle testate del gruppo GEDI per i contenuti giornalistici che sono stati pubblicati sul motore di ricerca Bing, c’è anche chi – pur riconoscendo la portata storica della decisione – esprime delle riserve. La commissaria Agcom Elisa Giomi, infatti, ha votato in maniera contraria al resto del collegio sul caso in specie. La sua è una posizione che parte da presupposti significativi, soprattutto su alcuni principi collegati al regolamento dell’Agcom.
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«Agcom oggi stabilendo per la prima volta l’equo compenso che un motore di ricerca deve corrispondere ad un editore per aver pubblicato brevi estratti delle sue pubblicazioni giornalistiche prende una decisione di portata storica, ma non credo che il risultato ottenuto sia all’altezza dell’impresa – ha dichiarato in una nota la Commissaria Agcom Elisa Giomi che ha votato contro il provvedimento -. Il primo problema è il precedente che si crea con l’equiparazione tra ‘estratto molto breve’ e pubblicazione giornalistica integrale. La direttiva europea infatti esenta estratti brevi dal pagamento dell’equo compenso mentre Agcom arbitrariamente lo applica in considerazione di presunte mutate abitudini di consumo che avrebbero ormai sostituito la lettura dell’articolo originario con la sua sintesi».
Sono state espresse delle riserve anche sulle modalità con cui, in questa fase, sono state effettuate le rilevazioni da Agcom per stabilire l’esatta portata dell’equo compenso per l’editore: «Il secondo motivo è che il cosiddetto ‘equo compenso’ dovuto dal motore di ricerca all’editore non è calcolato in base all’effettivo utilizzo dei brevi estratti, che Agcom non ha individuato né quantificato, ma attraverso una stima dei ricavi pubblicitari del motore di ricerca – ha spiegato la Commissaria – quindi è stato stabilito non in rapporto al reale valore della prestazione dell’editore, come sarebbe stato giusto, ma in via amministrativa e dirigista in base alle entrate pubblicitarie del motore di ricerca. La logica applicata, quindi, non è stata quella di determinare un compenso in via perequativa, cioè mediando tra gli opposti interessi delle parti per farle convergere verso un accordo, come è nel compito dell’arbitro Garante».
Dubbi, quindi, anche sulla compatibilità di questa delibera rispetto alla normativa che inquadra il concetto di equo compenso a livello comunitario: «Si arriva a questa decisione attraverso un’interpretazione, prima del legislatore nazionale e poi di Agcom, poco fedele allo spirito della Direttiva europea sul Copyright che, nel promuovere il mercato delle pubblicazioni giornalistiche, puntava ad un equilibrio ragionevole tra editori, giornalisti e piattaforme online. Che la disciplina dell’equo compenso imposta da Agcom determini una polarizzazione delle parti su posizioni contrapposte lo dimostra anche l’aumento del contenzioso sull’equo compenso che vede coinvolta direttamente Agcom nei ricorsi amministrativi e in Corte di Giustizia UE».
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