“Dal Quirinale ha avuto un approccio interventista sulle questioni politiche. Non era una figura notarile. Ma non era come Oscar Luigi Scalfaro, non aveva cioé la smania di costruire maggioranze diverse da quelle emerse dalle urne”: Ignazio La Russa parla così di Giorgio Napolitano al Quirinale, in un passaggio dell’intervista a tutto campo rilasciata al Corriere della Sera.
Il presidente del Senato, ricorda che “certo, non vedeva in Silvio Berlusconi la personalità giusta per guidare il Paese in quella fase politica”.
“L’ultima volta – riprende – andai a trovarlo insieme al presidente del Consiglio. Il loro colloquio fu complicato. Napolitano disse poi a Fini: ‘Meno male che c’era La Russa a tenere a bada Berlusconi'”. “Non ricordo – spiega – il tema, ricordo un momento di grande tensione durante un colloquio già molto animato in cui mi limitai a sostenere Berlusconi cercando però di smussare i toni troppo bellicosi”.
“Era certamente la fase finale del governo. E pochi giorni dopo – ricorda ancora La Russa – il Presidente della Repubblica con me si aprì: ‘Cercate di trovare una soluzione…’. Il suo atteggiamento venne additato come fosse quello di capo dell’opposizione. Credo che in realtà – annota ancora – auspicasse non un ribaltone ma un cambio di presidente del Consiglio. Cosa che non condividevo. Forse fu questo che portò Fini a certe scelte che considerai sbagliate. Berlusconi è sempre stato per me un grande riferimento ma con Gianfranco non ho mai interrotto i rapporti. E penso che, nonostante i suoi errori, resti insieme a Tatarella la personalità senza la quale la destra moderna non sarebbe nata”.
A proposito di destra moderna, “nel 1995 a Fiuggi facemmo i conti con il fascismo e fui tra i protagonisti di quella svolta. Ma il mio atteggiamento forse troppo benevolo verso il Ventennio era già mutato da tempo, fin dai 18 anni, dopo i miei studi all’estero dove avevo avuto amici di tutte le etnie e di tutte le religioni”, afferma ancora il presidente del Senato. Alla domanda su quando smise di sentirsi fascista, in cui avvertì di essere cambiato, risponde: “Quando mi resi conto delle leggi razziali. Da ragazzo non me ne aveva parlato quasi nessuno, lo ammetto. Poi in me scattò qualcosa, che fu amplificato dalla conoscenza della comunità ebraica, dalla partecipazione alla loro vita, alle loro cerimonie”.
L’intervista parte dalla figura di Pinuccio Tatarella, e da un episodio che li coinvolse negli anni ’90, quando La Russa propose di portare i fiori dove fu ucciso Mussolini, provocando la reazione di Tatarella: “A suo giudizio nella nostra comune volontà di costruire una destra pluralista, moderna ed europea, non c’era più spazio non solo per il fascismo ma anche per gesti che richiamassero il passato. Tatarella aveva capito che, oltre la sostanza, bisognava cambiare anche le forme. Il primo a intuirlo in realtà era stato Giorgio Almirante, che negli anni Settanta aveva allargato l’Msi a personalità antifasciste. Ma non era bastato. Più tardi, sul finire degli anni Ottanta, Pinuccio contribuì a lanciare Gianfranco Fini alla guida del partito. E io ero schierato con lui. Non è stato un percorso facile e indolore. Ecco perché sono stati sbagliati e dannosi i gesti di cui si sono resi responsabili quei ragazzi di Gioventù nazionale che hanno purtroppo offuscato la cristallina passione politica della maggioranza dei giovani militanti”.
Il presidente del Senato, La Russa racconta anche del suo primo viaggio allo Yad Vashem insieme a Walker Meghnagi, e per il suo giudizio sul fascismo “ho come punto di riferimento lo storico antifascista Renzo De Felice“. Allora perché non accetta di definirsi antifascista? “Perché non accetto di rispondere come una scimmietta ammaestrata, oltre che per il ricordo degli anni Settanta”, quando “arrivò la violenza dei cosiddetti nuovi partigiani, il loro slogan secondo cui ‘uccidere un fascista non è un reato’. Con loro non vorrò mai essere accomunato. E allora che iniziò l’antifascismo ideologico come viene inteso adesso”.
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