CORMONS Quel morso ha compromesso la piena funzionalità dell’anulare destro della mano della cugina. E questo nonostante ripetuti interventi e continue visite mediche. Per questo M.C., queste le iniziali della donna, una friulana di 52 anni, è stata condannata alla pena di 3 anni e 6 mesi in ordine all’ipotesi di reato di lesioni personali, aggravate dalle conseguenze, ossia un’incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore ai 40 giorni e soprattutto un indebolimento permanente dell’estremità della mano.
La vittima del suo morso aveva perso il lavoro, non potendo neppure trovare altra occupazione. Il giudice monocratico del Tribunale di Gorizia, Marcello Coppari, ha disposto anche una provvisionale di 20 mila euro rispetto alle spese sanitarie sostenute negli anni, nonché allo stato di disoccupazione subito dalla vittima, costituitasi parte civile al processo; ha poi rimesso al giudice civile l’esatta quantificazione dei danni. Infine, ha liquidato in 4.620 euro la rifusione delle spese processuali.
La vicenda risale al 6 settembre 2017, quando le due donne, cugine, s’erano casualmente incontrate in un locale a Cormons. La donna assieme al marito aveva raggiunto la frasca per cenare, la coppia si era quindi soffermata a lungo, mentre la cugina era giunta successivamente, accompagnata da un amico, peraltro fratello del suo consorte, e dalla figlia, che all’epoca aveva 13 anni.
Non appena arrivati, notando la coppia che si trovava nell’area esterna, i tre avevano posto subito le dovute distanze. Non correndo buoni rapporti familiari, si erano accomodati all’interno. Ad un certo punto la situazione ha assunto una brutta piega, in un contesto di alterazione alcolica. I coniugi, fino ad allora a cena in giardino, erano entrati nel locale, aveva cominciato a inveire contro il fratello e i due avevano iniziato a spintonarsi l’uno con l’altro. Era quindi intervenuta M.C prendendo a male parole la cugina e sua figlia, ordinando poi al marito di uscire.
Una circostanza per la quale la titolare del locale aveva invitato la coppia ad andarsene. Nell’apprestarsi a varcare la soglia, marito e moglie erano caduti, inciampando sullo scolo dell’acqua in prossimità dell’ingresso. Gli altri tre, pagato il conto s’erano a loro volta diretti all’uscita per andarsene, ma la donna, ancora a terra, aveva bloccato la caviglia della tredicenne, “riagganciandola” all’altro collo del piede quando lei s’era liberata. La madre a quel punto aveva messo la sua mano sulla guancia della cugina per costringerla a lasciare la presa sulla figlia. Il tempo di girare il volto e la donna le aveva addentato l’anulare.
Il pubblico ministero aveva richiesto una pena di 3 anni, in linea la richiesta di condanna della parte civile, rappresentata dall’avvocato Raffaele Conte, del Foro di Udine, la difesa invece aveva chiesto l’assoluzione o, in subordine, il minimo della pena e relativa sospensione con le attenuanti generiche. Il giudice ha invece emesso sentenza di condanna a 3 anni e 6 mesi, senza attenuanti, né sospensione della pena.
Il giudice ha sostenuto che è emersa la prova, oltre ogni ragionevole dubbio, di colpevolezza del reato contestato all’imputata. Il capo di accusa ha avuto pieno e coerente riscontro attraverso le dichiarazioni in aula della parte civile e degli altri testi, considerate attendibili. A fare testo sulla ridotta funzionalità del dito la documentazione sanitaria, considerando le più ampie conseguenze, anche in termini lavorativi. La sentenza è stata impugnata davanti alla Corte d’Appello. —
© RIPRODUZIONE RISERVATA