San Giorgio Canavese
Un Canavese da vivere dove la qualità della vita si unisce a un patrimonio paesaggistico, alle eccellenze enogastronomiche e all’identità culturale, è l’architrave su cui deve reggersi il futuro del turismo, analizzato, progettato, valorizzato e anche premiato dal lavoro messo a terra dal think tank Canavese2030. «Per avere successo, per reinventare il futuro, ci vogliono dei fari», ha sottolineato Valentino Castellani, ospite lo scorso giovedì dell’evento sangiorgese. Ed un faro sarà il cibo, il sapore che ci riporta a un ricordo o ci proietta verso un’ispirazione.
Parte da un input di Gianluigi Orsolani, neo presidente di Confagricoltura e produttore di Erbaluce, la sinergia tra Canavese 2030 e l’Università di scienze gastronomiche di Pollenzo, in provincia di Cuneo, che lavorerà intorno ad uno studio su alcuni prodotti ed antiche ricette del Canavese.
Non è passato inosservato l’elogio del salampatata: «Una specialità forse di nicchia ma esclusivamente canavesana, di cui nessun altro territorio ha mai rivendicato la paternità ha commentato Orsolani -, proprio perché ricetta povera e stagionale della tradizione contadina locale e, quindi, prodotto ideale per valorizzare l’importanza delle cucina canavesana nel panorama tradizionale piemontese e italiano. Si aggiungono, tra le specialità da far conoscere al grande pubblico, anche le miasse, i canestrelli, la zuppa di ajucche e ovviamente la piattella di Cortereggio, primo presidio Slow food del Canavese, finito anche nel menù degli astronauti in orbita».
Orsolani ha poi dialogato con Silvio Barbero, vicepresidente nazionale di Slow food per sottolineare il ruolo della maestria culinaria canavesana e il legame con la cucina regionale: «Il rapporto con il cibo deve uscire dalle quattro mura dell’approccio economico tradizionale, quello maturato intorno agli anni Sessanta - ha commentato Barbero -. Bisogna andare oltre la semplice esaltazione di un prodotto in base al territorio in cui viene realizzato. Oggi l’approccio qualitativo deve tenere conto di tante cose: la complessità del mondo attuale, le crisi climatiche, la tutela e la difesa della biodiversità. La storia, la cultura e l’antropologia devono essere alla base di questo studio comune affinché non si tratti soltanto di un progetto fine a se stesso».
La contaminazioni, ancora una volta, dopo i precedenti incontri di Canavese 2030, sono alla base di tutto: «Alcune ricette sono frutto di una contaminazione tra realtà e culture diverse. È lì che si trova lo spirito vero per rilanciare un prodotto capace di raccontare un territorio, cercando di andare oltre la semplice riscoperta delle ricette del passato - ha argomentato ancora Barbero -. Occorre muoversi in una logica olistica, multidisciplinare e soprattutto bisogna inserire lo studio all’interno di un progetto turistico e non di una semplice proposta. C’è una bella differenza: il progetto punta a far sì che un territorio abbia un suo stile. E che questo stile derivi da una serie di elementi antropici, mentre la proposta è solo l’offerta di alcuni servizi. Nel progetto turistico ogni attore all’interno della comunità apporta il suo contributo. Per raggiungere questo risultato non bastano gli studi delle Università. Occorre che le Università s’impegnino a trasferire alla società civile e agli operatori del settore percorsi di formazione che permettano ai diversi soggetti di diventare consapevoli e competenti all’interno del progetto. Sembra facile, ma non lo è».
La chiave di tutto sono i rapporti che si intessono: «È importante conoscere come sono nate le contaminazioni che hanno portato allo sviluppo delle tradizioni e della cucina locale - hanno continuano i due relatori -. Per fare un racconto del territorio, infatti, bisogna partire dalle sue relazioni».
Canavese 2030, intanto, in questa direzione aveva già condotto uno studio approfondito sulle eccellenze canavesane, reso possibile da una mappatura e da un censimento mai svolto in precedenza con questa profondità, basandosi sulle recensioni, sull’apprezzamento e anche sui premi ottenuti in ambito enogastronomico. Le eccellenze selezionate erano poi state premiate nel corso di una serata al castello Benso di Mercenasco. La premiazione, curata da Lamberto Vallarino Gancia, nominato nuovo presidente dell’advisory board del think tank, era stata preceduta dall’assegnazione del Canavese Award a Carlin Petrini, il fondatore di Slow food , “per la sua vita e per il suo lavoro che ha cambiato la percezione del cibo e del vino in tutto il mondo”. Lydia Massia