La liberazione di Julian Assange ha certamente costituito una grande vittoria e occorre rallegrarsi per questo grande combattente per la libertà d’informazione che ha trascorso oltre dodici anni della sua vita in difficili condizioni di detenzione, prima nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra e poi nel carcere britannico di massima sicurezza di Belmarsh. Assange è stato perseguitato senza pietà dal potere imperiale degli Stati Uniti perché ha rivelato crimini di guerra e contro l’umanità e retroscena politici molto imbarazzanti per Stati Uniti e Nato.
I piani per metterlo fuori combattimento, dalla procedura giudiziaria avviata in nome della sicurezza nazionale ai complotti segreti per ucciderlo, sono direttamente funzionali alla continuazione delle attività belliche e di destabilizzazione nel mondo intero, colle quali l’Occidente in declino tenta disperatamente di arginare la propria inevitabile decadenza. Il coraggioso, anzi direi eroico, giornalista ha costituito un punto di riferimento importante per far emergere molte verità scomode per il potere sia statale che privato. Tale potere infatti è fortemente interessato a mantenere l’assoluta opacità sulle proprie scelte ed azioni, come pure ad alimentare lo stato di inconsapevolezza nella quale versa la grande maggioranza della popolazione degli Stati dell’Occidente, abbrutita da notizie inutili su fenomeni vari, dallo “sport” esclusivamente passivo e non vissuto in prima persona, al gossip relativo alle esistenze di personaggi e personaggetti vari, a vere e proprie campagne di disinformazione su temi strategici, dalla guerra, alle pandemie, al cambiamento climatico.
Colpire i giornalisti che prendono sul serio la propria missione professionale, informando il pubblico, sta diventando una priorità per lorsignori e la vicenda di Julian Assange si configura chiaramente come un’intimidazione di stampo mafioso nei loro confronti. E’ certamente positivo e significativo che alla fine Assange sia potuto ritornare in patria e tra i suoi cari e ciò è avvenuto grazie alle crescenti difficoltà del potere statunitense nell’attuale perigliosa e incerta fase preelettorale, come pure all’esistenza di importanti anticorpi, in particolare nel mondo del diritto, a cominciare dal prestigioso collegio difensivo che ha seguito la vicenda, e in quello dell’informazione.
Inutile peraltro illudersi. Siamo solo all’inizio e l’offensiva del potere contro la libertà d’informazione continuerà e si intensificherà, perché si tratta di un complemento necessario per portare avanti la strategia criminale basata sulla promozione degli interessi delle lobby, in primis quella degli armamenti, ma anche varie altre tra le quali quella energetica e quella chimico/farmaceutica, che sta progressivamente sostituendo ogni ragionamento di carattere propriamente politico, all’interno della pessima classe politica europea e nazionale, che si configura in modo sempre più evidente e sfacciato come la referente esclusivamente dei gruppi di potere. Trattandosi di una società capitalistica si tratta in ultima analisi di gruppi di potere privato che condizionano anzi in sostanza dirigono in prima persona le scelte pubbliche, fino a quella estrema della guerra che minaccia di spazzarci via tutti in pochi minuti dalla faccia della Terra.
E’ del resto noto, o quantomeno dovrebbe esserlo, all’opinione pubblica intorpidita, distratta e progressivamente sempre più menomata nel suo incerto comprendonio, che la Nato ha dichiarato che l’informazione costituisce un terreno strategico. L’approccio manicheo adottato, del tutto privo di riscontri nella realtà, secondo il quale si starebbero confrontando da un lato “il mondo libero” dotato di ogni virtù e santità, e dall’altro i “poteri autoritari” brutti, sporchi e cattivi, non lascia dubbi sulla funzione che l’informazione è chiamata a svolgere e che consiste essenzialmente nel validare la guerra fredda in corso contro i nemici dell’Occidente (Russia, Cina, Iran, ecc.) in attesa che si trasformi, come purtroppo probabile, in guerra calda.
Nessuno spazio quindi per un giornalismo d’inchiesta che si permetta di rivelare i crimini dell’Occidente che pure nei suoi oltre cinquecento anni di dominio sul pianeta molti ed enormi ne ha compiuti e continua a compiere, dal genocidio contro le popolazioni native americane, alla tratta degli schiavi africani, all’Olocausto ai danni degli Ebrei d’Europa, fino all’attuale genocidio della popolazione palestinese, opera del governo fascista di Netanyahu col supporto operativo degli Stati occidentali, a partire dai primi tre in classifica per fornitura di armi al macellaio sionista, che sono com’è noto nell’ordine Stati Uniti, Germania ed Italia.
Si parva licet, un analogo approccio di opacità viene del resto scelto anche sul terreno nazionale, ad esempio nella nostra triste Italietta sempre più priva di sovranità ed indegnamente aggiogata al carro della Nato. Anche da noi se ne contano esempi innumerevoli, dall’occupazione dei gangli informativi da parte di finti giornalisti infettati fino al midollo da orrendo servilismo, al divieto che presto sarà legge di pubblicare perfino gli atti giudiziari, alla penetrazione del potere economico che usa l’arma del denaro per comprare e intimidire i giornalisti. Sarebbe ora di reagire, innalzando nel nome di Julian Assange il vessillo della libertà d’informazione, presidio di ogni autentica democrazia.
L'articolo All’Occidente serve un giornalismo che non sveli i suoi crimini: così si spiega il caso Assange proviene da Il Fatto Quotidiano.