Il Green Deal, la politica ambientale approvata dalla vecchia maggioranza europea e rilanciata da Ursula von der Leyen, non piace a nessuno. Non piace a Coldiretti, che ne ha denunciato le storture, a Confindustria, ma nemmeno alle grandi industrie come Pirelli, che hanno messo in evidenza il rischio di favorire la Cina, mentre il capogruppo alla Camera di FdI, Tommaso Foti, confida in un ravvedimento da parte di Bruxelles. E il presidente di Confindustria lancia un serio allarme.
“L’Europa ha un problema di competitività con altri paesi. Questa decarbonizzazione costerà 1100 miliardi di euro nei prossimi 10 anni. Questo vuol dire mettere costi in più alle nostre aziende. Il sistema Ets (la tassazione europea delle emissioni) metterà fuori gioco molte nostre aziende al 2030“, ha detto il presidente di Confindustria, Emanuele Orsini, aggiungendo che “nel programma di Ursula von der Leyen non mi preoccupa solo il fatto che continuiamo nella ripresa del Green Deal, ma anche la frase in cui dice che questo porterà a un taglio di emissioni del 90% fino al 2040”.
Il leader di Coldiretti, Ettore Prandini, auspica che “il commissario Ue all’Agricoltura svolga il suo incarico senza essere condizionato come in passato da quello all’Ambiente. Vedremo se quanto promesso dalla von der Leyen nel suo discorso di presentazione corrisponderà alla realtà”.
Prandini considera il Green Deal nefasto per l’agricoltura e invoca aiuti europei nel settore per contrastare la concorrenza sleale della Cina: “Le regole imposte ai produttori europei devono valere anche per chi vuole vendere nell’Unione, altrimenti entriamo nel campo della concorrenza sleale. È essenziale – l’allarme di Prandini – che la nuova Commissione faccia salire il budget per l’agricoltura se vogliamo evitare che la produzione alimentare crolli, mettendo così a rischio i 620 miliardi di euro del settore favorendo le importazioni dai Paesi terzi”.
“Sul Green Deal ci aspettiamo un ravvedimento significativo da parte di von der Leyen. I costi per raggiungere gli obiettivi ambiziosi della ‘industria pulita’, che dovrebbe portarci a ridurre le emissioni del 90% entro il 2040, sono altissimi – qualcuno ipotizza 300 miliardi all’anno, quasi un miliardo al giorno – e non è ancora chiaro chi ne sopporterà il peso”, ha sottolineato il capogruppo di FdI alla Camera, Tommaso Foti. “Certo – ha aggiunto – non potrà gravare sulle imprese che condanneremmo al fallimento, né solo sui governi costretti a fare i conti con il rispetto del Patto di stabilità. Politiche troppo spinte verso un ambientalismo ideologico possono creare contraccolpi sul piano della perdita di competitività rispetto agli altri continenti che non solo l’Italia ma l’Europa tutta non può permettersi”.
Se è sacrosanto reimpostare le politiche industriali per rispettare l’ambiente è altrettanto vero che questo va fatto coinvolgendo Usa, Cina e i Paesi del Brics, che sono i Paesi che maggiormente inquinano. Il Green Deal concepito a Bruxelles non dice niente sulla copertura dei costi, né si spinge ad intaccare il monopolio cinese e l’anomalia del consumo di anidride carbonica a Pechino, superiore a qualsiasi altra realtà. Come già denunciato nella passata legislatura dagli eurodeputati FdI Procaccini e Fidanza, questo provvedimento favorisce paradossalmente proprio la Cina, lasciando irrisolti i problemi e non indicando chi pagherà i costi altissimi di una misura che non piace a nessuno.
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