Non facevano le “dovute manutenzioni sulle tubazioni” nei reparti Cokeria e Sottoprodotti dello stabilimento ex Ilva di Taranto. E quindi, dentro e fuori l’acciaieria, “determinavano un incremento, significativo e misurabile, delle concentrazioni” di benzene. Ancora: non avrebbero mantenuto in efficienza gli impianti di pressurizzazione e filtrazione aria a servizio di macchine operatrici ed uffici finendo per esporre gli operai “ad elevate concentrazioni di sostanze cancerogene”. Non solo, perché in questa maniera “esponevano a pericolo” anche “la popolazione residente” vicino all’impianto. Insomma, il siderurgico continuerebbe a mettere a rischio la salute di operai e cittadini tarantini a causa della sua cattiva gestione, alla radice dei picchi degli inquinanti registrati negli scorsi anni dall’Arpa Puglia.
“Associazione a delinquere per disastro ambientale”
Sono le nuove accuse mosse a Lucia Morselli, ex amministratrice delegata di Acciaierie d’Italia, la società che ha in gestione la fabbrica tarantina, e ad altre otto figure di vertice, già indagati per truffa ai danni dello Stato. Si allargano così le ipotesi di reato, facendosi pesantissime: “Associazione a delinquere finalizzata al disastro ambientale e all’inquinamento ambientale”, ha messo nero su bianco la procura di Taranto, come riporta La Gazzetta del Mezzogiorno. L’inchiesta in mano ai pubblico ministeri Francesco Ciardo e Mariano Buccoliero assomiglia così sempre più all’indagine Ambiente Svenduto dalla quale è scaturito il maxi-processo sulla gestione dei Riva. Gli accertamenti degli investigatori, partiti dai picchi di benzene, avevano portato a contestare la truffa ai danni dello Stato in relazione alla presunta falsificazione dei dati per ottenere più quote di emissione di Co2 gratuite. Nell’inchiesta sono indagati, oltre a Morselli, il suo segretario Carlo Kruger, Sabina Zani, consulente di PriceWaterCooper, i direttori Vincenzo Dimastromatteo e Alessandro Labile, i procuratori speciali di Adi Francesco Alterio, Adolfo Buffo e Paolo Fietta, il procuratore con funzioni di direttore finanze Antonio Mura, e il dipendente Felice Sassi.
“Morselli era la promotrice”. Tutte le accuse
Ora a Morselli, definita la “promotrice”, Labile e Dimastromatteo, in qualità di “organizzatori”, e a tutti gli altri indagati – tranne Zani – viene contestata anche l’associazione a delinquere finalizzata al disastro ambientale e all’inquinamento ambientale perché si legge nel capo d’imputazione “con più condotte esecutive di un medesimo disegno criminoso, omettendo di effettuare le dovute manutenzioni sulle tubazioni (trasudazioni, trafilamenti, corrosioni) della rete dì distribuzione del gas-coke presente nei reparti Cokeria e Sottoprodotti” avrebbero cagionato “abusivamente” una “compromissione ed un deterioramento significativo dell’aria della città di Taranto determinando un incremento, significativo e misurabile, delle concentrazioni medie annuali, mensili, giornaliere di benzene” registrate dalle centraline di monitoraggio di qualità dell’aria installate in via Machiavelli e in via Orsini, nel quartiere Tamburi, oltre che da quelle interne all’acciaieria. Secondo la procura guidata da Eugenia Pontassuglia, inoltre, i nove indagati “omettendo di mantenere in efficienza gli impianti di pressurizzazione e filtrazione aria a servizio di macchine operatrici ed uffici” avrebbero esposto “i lavoratori ad elevate concentrazioni di sostanze cancerogene-mutagene-teratogene e dunque a disastri, infortuni sul lavoro e malattie professionali” e così “esponevano a pericolo la popolazione residente in prossimità” dell’Ilva e “gli stessi lavoratori”.
Il filone della truffa allo Stato
Per quanto riguarda il filone della truffa ai danni dello Stato, già noto come anche l’accusa di inquinamento nei confronti di Morselli e Labile, tutto ruota intorno alla restituzione delle quote CO2 consumate nell’anno 2022 e all’assegnazione di quelle a titolo gratuito per l’anno 2023: Acciaierie d’Italia avrebbe attestato nel piano di monitoraggio e rendicontazione falsi quantitativi di consumi di materie prime (fossile, gas, ecc.), di prodotti finiti e semilavorati e relative giacenze, così alterando i parametri di riferimento (“fattore di emissione” e “livello di attività”). La società, sotto la guida di Morselli, avrebbe inoltre dichiarato al registro Eu Ets (Sistema europeo di scambio di quote di emissione) un numero di quote CO2 inferiore a quello effettivamente emesso, inducendo in errore il Comitato ministeriale, che perciò avrebbe assegnato gratuitamente all’ex Ilva di Taranto, per l’anno 2023, un ammontare di quote superiore a quello effettivamente spettante.
“I dati sono finti”: l’intercettazione
In questo modo, secondo l’accusa, gli indagati avrebbero procurato un ingiusto profitto all’azienda consistito, da un lato, in un risparmio di spesa, realizzato con la restituzione allo Stato (nello specifico, al Comitato ministeriale) di quote CO2 inferiori a quello che la società avrebbe dovuto restituire, e dall’altro nei maggiori ricavi determinati dal riconoscimento di quote di CO2 gratuite in misura eccedente. A danno del mercato primario delle “aste pubbliche” dello Stato. Stando alla ricostruzione dei magistrati tarantini, è stata la stessa Morselli ad ammettere l’alterazione dei dati: in una conversazione intercettata con la direttrice dei servizi informativi di AdI, Alessandra De Carlo (non indagata), l’ex manager del siderurgico spiegava di aver trovato “metà dei consumi” e che i consumi “sono manipolati per poter avere le quote di Co2… sono finti… apposta”.
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