TRIESTE Pino Rosati, presidente della sartoria sociale Lister, è morto lunedì, all’età di 65 anni, al termine di una lunga malattia, volato via come una delle tante “ombrele” cucite nell’atelier della sua cooperativa.
In una mattina di luglio il parco di San Giovanni perde così uno degli ultimi protagonisti di quella rivoluzione di Franco Basaglia che lui, Giuseppe per tutti Pino, aveva saputo mettere in pratica trasformando la miseria del padiglione M dell’ex manicomio in un laboratorio comunitario, capace di promuovere, fin dal 2009, la cultura del riuso e di offrire opportunità lavorative a persone in condizioni di svantaggio sociale. «Noi ridiamo nuovo significato agli scarti, li “frulliamo” e li rimettiamo in circolo», la faceva breve Pino, con la sua solida timidezza, senza mai però sminuire di un grammo il valore della sua Lister, il cui nome deriva da «terlis», come una tuta da lavoro «che lascia intravedere solo il viso».
«Lui è stato un’ancora di salvezza», racconta la psichiatra Maria Grazia Cogliati Dezza, disegnando un amico capace di «far rinascere pezzi di plastica e scarti»: «di dare l’anima per aiutarci a farci diventare la persone che siamo».
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«Mi ha scolpito l’anima», lo ricorda Laura Flores, migliore amica fin da quel primo incontro alla fine degli anni Ottanta, quando Pino era impegnato a ripensare i tristi padiglioni dell’ex Opp in «spazi plurali e senza aggettivi», in cui artisti come lui potessero incontrarsi, dipingere, realizzare performance collettive.
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Il vissuto a Roma, con la sua Lift Gallery (la “galleria dell’ascensore”), quindi il ritorno a San Giovanni, dove i suoi amici ora lo ricorderanno piantando un albero da frutto. «Il suo pallino erano le persone: la sartoria è nata per ridare opportunità a chi non le aveva più», ricorda la vicepresidente di Lister e amica Carla Stefani, che con Pino ha condiviso l’idea dell’atelier (cooperativa dal 2009) e le tante esperienze nelle scuole, nelle carceri, nei Csm. «Lui era un cosmo di suggerimenti e suggestioni, non sempre comprese: continueremo, ma senza di lui sarà difficile».
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Negli anni Pino ha saputo costruire un laboratorio in cui tessuti che nessuno vuole più, come gli ombrelli divelti dalla bora, non vengono gettati ma trasformati in zainetti, frisbee o borse, come quelle 2.200 tasche in denim realizzate per i delegati della Settimana sociale dei cattolici.
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In quell’occasione, con pudore e delicatezza Pino aveva rivolto tramite Il Piccolo un invito ai cittadini, che subito avevano risposto “inondando” la coop di vecchi jeans e aneddoti. Fino all’ultima telefonata Pino aveva ripetuto: «Ricordiamoci di ringraziare tutti, per tutto il bene che ci hanno voluto»
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