Sta passando sotto silenzio un importante anniversario: i 150 anni dalla nascita del russo Vsevolod E. Mejerchol’d, uno dei padri fondatori del teatro di regia, secondo molti il regista più geniale del secolo scorso. La cosa forse ha a che fare anche con il “boicottaggio” che la cultura russa sta subendo un po’ ovunque in Europa, da quando è iniziata l’aggressione di Putin all’Ucraina, che ha prodotto insensati dibattiti sull’opportunità o meno di continuare a studiare scrittori come Dostoevskij o Tolstoj. Se così fosse, nel caso di Mejerchol’d, sarebbe due volte ingiusto, dal momento che si tratta di un martire dello stalinismo, condannato per tradimento e cospirazione e fucilato il 2 febbraio 1940.
La sua vicenda è una delle più emblematiche e tragiche nella storia novecentesca dei rapporti fra arte e politica. Egli finisce per restare vittima (non è il solo certamente: si pensi a Majakovskij) di quella Rivoluzione a cui aveva prontamente aderito e per la quale aveva rivestito incarichi importanti, nella convinzione che le due grandi trasformazioni, quella politica e quella teatrale, potessero svilupparsi di pari passo e supportarsi a vicenda.
L’ascesa di Stalin nel 1928 dimostrò che si trattava di una pia illusione. Del resto, la sua stella politica aveva cominciato a tramontare molto presto, ben prima della definitiva caduta in disgrazia nel 1935, prologo alla chiusura del suo teatro nel 1938 e all’arresto nel 1939. Negli anni Quaranta, come avveniva in questi casi, su di lui cade una vera e propria damnatio memoriae. Tutti i documenti che lo riguardano, foto comprese, scompaiono. Sembra che non sia mai esistito. Ci vorrà il processo di destalinizzazione nella seconda metà del decennio successivo perché riemerga lentamente dall’oblio e i testimoni sopravvissuti, attori, collaboratori, allievi, possano riprendere a parlare di lui.
Dopo inizi amatoriali, nel 1898, a 24 anni, Mejerchol’d viene scritturato dal Teatro d’Arte di Stanislavskij e Nemirovic Dancenko, dove resterà per quattro anni, interpretando 18 personaggi e imponendosi come uno degli attori più talentuosi. Dal 1902 intraprende un percorso personale fondando una propria compagnia. Da quel momento l’ascesa è irresistibile. Prima è chiamato a Pietroburgo dalla Kommissarzevskaja, una delle grandi attrici russe del periodo, come principale regista del suo teatro (1906-1907). Poi, nel 1908, viene nominato regista ai Teatri Imperiali, dove rimarrà per dieci anni.
La sua visione teatrale lo porta a prendere nettamente, e anche duramente, le distanze dallo stanislavskismo, criticato per la sua estetica realistica e testocentrica (ma resterà sempre un devoto ammiratore del maestro). Egli propugna un teatro antinaturalistico e scenocentrico, influenzato dalle avanguardie letterarie e pittoriche (simbolismo, cubofuturismo) e basato sul confronto con le tradizioni dello spettacolo “popolare”, dal circo alla Commedia dell’Arte. Non senza le suggestioni dei teatri asiatici.
Il secondo decennio del Novecento, fino all’Ottobre, è decisivo. Al lavoro di regista Mejerchol’d affianca un’intensa e innovativa attività pedagogica. Nel 1913 apre uno Studio a Pietroburgo, in via Borodinskaja. Inizia così una ricerca sull’attore che figura fra le più importanti della prima metà del secolo e che sfocerà, dopo la Rivoluzione, nella definizione della Biomeccanica, forse il complesso di esercizi per l’attore più sofisticato che sia mai stato inventato, attingendo a disparate tradizioni tecniche, spettacolari e non. Non si trattava tuttavia di un nuovo metodo di recitazione, come spesso è stato equivocato, ma di un trenaž, cioè un training, un allenamento che avrebbe dovuto consentire all’attore di accedere come corpo-mente a una condizione di artificialità, a un modo extraquotidiano di pensare e agire in scena.
In ogni caso, gli spettacoli che egli crea a Mosca dal 1923, quando apre il suo teatro, fino alla metà degli anni Trenta, rappresentano una dimostrazione straordinaria delle possibilità della nuova arte registica, a cominciare dalla recitazione e dallo spazio scenico di cui è alla fine creatore lui stesso. Fra i tanti, mi limito a ricordare Il Revisore di Gogol, forse il suo capolavoro, e due opere di Majakovskij: Il bagno e La cimice. L’ultimo spettacolo che gli lasciano firmare è del 1935: 33 svenimenti, tre atti unici di Čechov.
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