Verità per Alex, è scritto sullo striscione che mamma Sabrina e papà Luca hanno portato in processione venerdì sera, prima dell'ultimo addio di ieri a Marcon.
Sono loro, per primi, ad averne pieno diritto. Ma a chiedere verità per Alex siamo tutti noi. Noi comunità. Noi che, come giornalisti, in queste due lunghissime settimane abbiamo inseguito verità alternate e confuse.
Alle volte, le domande contano più delle risposte. Ma non è questo il caso. Qui c'è una domanda fondamentale: cosa è successo? E visto che ancora una risposta non c’è, è legittimo farsene un’altra: le indagini sono state fatte con tutti i crismi? Il beneficio del dubbio ci sta sempre. A partire dall’approccio: perché è fondamentale partire subito con il piede giusto. Altrimenti, poi, non la raddrizzi.
Il tema delle scomparse sottovalutate è noto, in Italia.
“Ma sì, è maggiorenne, sarà da qualche parte, cosa volete sia successo…”
Ricordate la telefonata di quel signore che parlava di un violento litigio in un parcheggio, qualche mese fa? E la risposta sul fatto che le pattuglie erano già tutte impegnate? Ecco: Giulia Cecchettin stava per morire.
Suicidio, disgrazia, “morte come conseguenza di altro delitto”, omicidio: due settimane dopo, siamo al punto di non essere più nemmeno certi che Alex sia stato ucciso. Con la beffa finale, quella dei due curanderi che proprio sul nostro giornale, attraverso un avvocato madrileno, dicono una cosa incredibile, nemmeno verbalizzata perché non sono stati interrogati. Benavides dice: Alex era agitato, è corso verso il bosco e poi c’è stato un tonfo e un colpo secco.
E quindi, come reazione, invece di andare a vedere cosa è successo, sparisci nel nulla poco dopo? E il corpo martoriato lo ritroviamo tre giorni dopo su un isolotto?
La famiglia Marangon meriterebbe più rispetto. Anche la comunità, che ad essa si è stretta, lo meriterebbe.
Verità per Alex. Ma anche trasparenza
