Il caporalato si consuma anche in terra veneta, terra promessa per tanti lavoratori costretti a restare piegati per ore sui campi sotto il sole cocente, o a lavorare davanti al rullo per confezionare ortaggi, in nero, con paghe bassissime e orari massacranti.
Non lo afferma un’organizzazione sindacale, ma una sentenza di primo grado pronunciata dal tribunale di Padova che, di fatto, ha riconosciuto lo sfruttamento del lavoro, l’immigrazione clandestina e l’occupazione illegale di manodopera, condannando a pene severe gli imprenditori agricoli di Correzzola, Federico Faverato e il fratello Mattia Faverato, con il collega indiano Sukhdev Singh.
E condannando sotto il profilo della responsabilità amministrativa anche le rispettive imprese, l’Azienda Agricola Ortofrutta Faverato Soc. Agricola e la Società Agricola Fratelli Singh, entrambe con sede a Correzzola in via Castello (la prima al civico 7, la seconda al civico 19).
Peccato che ci siano voluti quasi dieci anni per arrivare a una pronuncia di primo grado (e nel nostro ordinamento sono tre i gradi di giudizio prima di avere una sentenza definitiva). L’inchiesta era decollata nel 2014 e così, in base a quanto previsto dalle norme penali e di procedura penale, entro fine anno tutto sarà prescritto.
Tradotto: sarà passato troppo tempo e l’azione penale non potrà più essere esercitata, cioè (in questo caso) proseguita. E i tre coraggiosi lavoratori che si sono costituiti parte civile nel processo, tre soltanto rispetto alla trentina di vittime accertate? Resteranno con un foglio di carta in mano senza alcun valore reale, mentre per avere un soddisfazione concreta (e poter incassare comunque i risarcimenti) dovranno avviare un’altra causa davanti al giudice civile.
Una causa dai tempi lunghi, destinata a durare anni oltreché a costare.
Il tribunale ha condannato a cinque anni di carcere e a 18 mila euro di multa Sukhdev Singh, 40enne di origine indiana: è stato ritenuto responsabile di estorsione e di reclutamento nonché sfruttamento di manodopera approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori mentre è stato assolto dall’accusa di aver organizzato ed effettuato il trasporto di immigrati stranieri per farli entrare illecitamente nel territorio italiano.
Inflitti quattro anni, cinque mesi e dieci giorni di carcere, oltre a 16 mila euro di multa, a Federico Faverato, 43 anni e a Mattia Faverato, 40 per reclutamento illegale e sfruttamento di manodopera (continuato), assolti dall’accusa di immigrazione clandestina e prescritti altri reati disciplinati dal testo Unico sull’immigrazione clandestina.
I tre imputati, interdetti in via temporanea dal pubblici uffici, sono stati condannati a risarcire i tre lavoratori che si sono costituiti parte civile tutelati dal penalista Giorgio Gargiulo: a due è stata riconosciuta una provvisionale subito esecutiva di 10 mila euro (un anticipo del ristoro finale), a un terzo di 5 mila euro, anche se tutti dovranno avviare una causa civile per ottenere il risarcimento dei danni. I Faverato e Singh saranno tenuti anche a pagare le spese processuali e di parte civile.
Punto importante della sentenza è la condanna delle due aziende agricole (sia quella dei Faverato che di Singh) al saldo di una sanzione pecuniaria nella misura di 150 quote sociali: le società risultano condannate nella loro veste di responsabili amministrative per gli illeciti riconosciuti, in quanto non hanno realizzato modelli organizzativi e gestionali idonei a prevenire reati gravi come quelli confermati dal processo.
Assolti dalle accuse di estorsione e violazione del Testo Unico sull’immigrazione Ranjit Singh di 37 anni, Harbhajan Azad Singh, 70 anni, (fratello e padre di Sukhdev); è stato dichiarato il non doversi procedere per intervenuta prescrizione a carico di Sher Sing di 43 anni. Le condanne erano state chieste dal pm Andrea Girlando che aveva ereditato l’indagine avviate da un altro collega poi trasferito altrove.
L’inchiesta parte il 20 settembre 2014 quando un bracciante indiano è aggredito a colpi di machete da Sukhdev Singh arrestato con il fratello (poi scagionato) e sospettato di aver messo in piedi un’organizzazione basata sullo sfruttamento dei connazionali. Connazionali arrivati in Italia con la promessa di un lavoro dignitoso e una vita diversa da quella nel loro Paese, ma la realtà è ben diversa.
Singh fornisce manodopera pure alla ditta Faverato, che ben sa delle condizioni in cui vivono i braccianti indiani che pagano a Singh in media 7 mila euro per lavorare. I braccianti – chiamati a saldare un ulteriore prezzo (da 0, 50 a un euro) per ora lavorata mentre ogni ora lavorata è pagata dai Faverato fra i 3 e i 4 euro – sono costretti a essere operativi 12-13 ore al giorno, senza riposo settimanale e senza ferie e vivono in un alloggio fatiscente sul retro dell’azienda agricola versando un affitto mensile tra i 150 e i 230 euro. Nessun lavoratore è mai messo in regola.