Il Community Peacemaker Teams (CPT), l’organizzazione umanitaria internazionale che monitora i conflitti, ha espresso forte preoccupazione per le operazioni militari della Turchia in corso nella regione semi autonoma del Kurdistan iracheno. “Finora sono state evacuati circa 162 villaggi e la probabile escalation indurrebbe altri centinaia a sfollare gli abitanti ”, avverte l’Ong in un nuovo rapporto, diffuso due giorni fa.
La Turchia sta cercando di espandere le operazioni militari nella regione dello Stato sovrano dell’Iraq con la giustificazione di annientare quelli che definisce terroristi, cioè i guerriglieri del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) di Ocalan, la maggior parte dei quali si trova sulle montagne dell’Iraq nord occidentale dopo la fine della tregua nel 2014.
Il “doppiopesismo” di Ankara prosegue dunque senza remore: mentre elogia i militanti di Hamas chiamandoli “liberatori”, bombarda i membri del Pkk che da decenni combattono per ottenere un’autonomia regionale contro l’esercito turco – senza mai prendere di mira i civili – specialmente nel quadrante sud orientale della Mezzaluna, dove vive la maggior parte della popolazione di etnia curda.
Secondo il CPT, il 15 giugno scorso le forze armate turche (TSK) hanno avviato una nuova operazione nella regione Berwari Bala di Duhok, conducendo manovre militari in sei villaggi. Il 25 giugno, la Turchia ha istituito un posto di blocco tra i villaggi di Kani Bilavê e Babirê. Il giorno successivo è iniziata la costruzione di nuove basi militari nei villaggi di Şiva, Kani Tuya, Zirezê, Demka, Bilecan, Korka e Girê Biya. L’esercito turco ha già diverse basi militari nel nord dell’Iraq, nelle regioni confinanti con il sud-est della Turchia.
Il rapporto del CPT evidenzia inoltre che la Turchia ha condotto 1.076 attacchi nei territori del KRG da gennaio a luglio 2024. Questi attacchi sono stati distribuiti tra i governatorati, con 526 a Duhok, 405 a Erbil, 135 a Süleymaniye e 10 a Ninova. Le operazioni hanno provocato la morte di otto civili e danni alle infrastrutture civili, aumentando ulteriormente le preoccupazioni sulle operazioni.
L’8 luglio due giornalisti curdi sono rimasti feriti nei pressi di Mosul in un attacco di droni contro l’auto su cui viaggiavano. I reporter curdi tornavano da Tilqeseb, dove avevano condotto interviste relative al decimo anniversario del massacro degli yazidi perpetrato dall’Isis il 3 agosto 2014. Gli yazidi sono etnicamente curdi ma devoti all’ antica religione Yazida anziché al più recente Islam in cui crede la maggioranza dei curdi.
La direzione antiterrorismo del governo regionale del Kurdistan (KRG) ha attribuito l’attacco alla Turchia. Ankara deve ancora rilasciare una dichiarazione sulla questione. kurdistan24.net, un organo di stampa in linea con le opinioni del governo regionale, ha affermato che le persone a bordo del veicolo erano membri del Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK). In una dichiarazione scritta, Çira TV ha affermato che l’attacco ai media liberi “non è una coincidenza”, soprattutto con l’avvicinarsi del decimo anniversario del genocidio degli Yazidi, per l’appunto, e nel mezzo di “piani di attacco e occupazione contro il popolo in Iraq e nel Kurdistan meridionale. Le forze di occupazione e gli Stati stanno tentando di mettere a tacere i media liberi per impedire che i loro crimini siano conosciuti al pubblico”, si legge ancira nella dichiarazione. Ieri il Comitato per la protezione dei giornalisti (CPJ) ha chiesto un’indagine immediata e approfondita sull’attacco.
Dopo la storica visita del presidente Recep Tayyip Erdogan a Baghdad tre mesi fa, il governo iracheno ha accettato di mettere fuorilegge il Pkk, così come i 2 clan curdi che controllano la regione semiautonoma del Kurdistan iracheno. La più ricca di petrolio e gas di tutto l’Iraq. Il clan Barzani è alleato della Turchia a cui vende gli idrocarburi mentre il clan Talabani è alleato dell’Iran.
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