Shelley Duvall, la musa di Robert Altman e l’indimenticabile protagonista di Shining di Stanley Kubrick, è morta oggi all’età di 75 anni nel sonno per complicazioni dovute al diabete nella sua casa di Blanco, in Texas. Una scomparsa che la vede scivolare nell’oblio silenziosamente, a dispetto di una vita d’attrice vissuta nel segno di interpretazioni forti al servizio di personaggi tormentati, come la sua Wendy, l’angosciata moglie di Jack Torrance-Jack Nicholson in Shining“(1980), che l’ha consacrata alla fama internazionale, regalando all’immaginario una protagonista indimenticabile (e non solo per aver schivato l’ascia brandita dallo scapestrato marito alle prese con i suoi demoni)…
L’annuncio della scomparsa di Shelley Duvall è stato dato da Dan Gilroy, suo compagno dal 1989, a The Hollywood Reporter e Variety. «La mia cara, dolce, meravigliosa compagna di vita e amica ci ha lasciato. Troppe sofferenze ultimamente, ora è libera. Vola via, bellissima Shelley», ha detto Gilroy tributando il suo addio all’attrice che, almeno nella memoria collettiva, resterà ferma all’immagine di una donna fragile, dalla corporatura esile, con grandi occhi a mandorla e uno sguardo espressivo. Una donna e una interprete che sul grande schermo ha portato e raccontato timori e aspirazioni dell’universo femminile e il disorientamento di una generazione che ha attraversato sogni e incubo di fine secolo.
Non a caso, nata Houston il 7 luglio 1949, è stato un cineasta del calibro di Robert Altman a scoprire e a lanciare Shelley Duval. Il regista la fa esordire in Anche gli uccelli uccidono (1970), dirigendola poi ne I compari (1971), Gang (1974), Nashville (1975), Buffalo Bill e gli indiani (1976). Non solo: nel 1977 compare in Io e Annie di Woody Allen (1977) e nello stesso anno è co-protagonista di Tre donne, sempre diretta da Altman, ruolo per il quale ottiene il premio per la miglior interprete femminile al Festival di Cannes. Nell’ultimo film diretta da Altman, invece, è stata Olivia Oyl, la fidanzata di Popeye (Robin Williams) in Popeye-Braccio di Ferro (1980): un personaggio a cui la sua fisicità esile e i suoi tratti delicati sembravano averla destinata da sempre.
Ma, come già ricordato in apertura, è con l’adattamento cinematografico di Shining (1980) di Stephen King, ruolo iconico di una intera carriera, che Shelley Duvall sarà ricordata per sempre. Una vera e propria impresa, quella vissuta sul set e raccontata più volte nel corso della sua carriera, che l’attrice ha sempre confessato di aver vissuto come una dura messa alla prova. Una sfida, quella lanciatale da Kubrick, durata tutti e 13 i mesi di riprese in Inghilterra. Nel cult dell’orrore, l’attrice interpreta la moglie assediata Wendy Torrance, che trascorre un rigido inverno nel desolato Overlook Hotel con il marito scrittore (Jack Nicholson) – che lentamente impazzisce – e il loro giovane figlio (Danny Lloyd).
Kubrick, racconterà sempre la Duvall, l’ha fatta «piangere 12 ore al giorno per settimane intere», dichiarò in particolare un’intervista del 1981 alla rivista People. Aggiungendo in calce: «Non darò mai più così tanto. Se volete soffrire e chiamarla arte, fate pure, ma non con me». E pensare che fu costretta a recitare la sua iconica scena con la mazza da baseball per ben 127 volte. Una fatica d’attore ampiamente ricompensata dal successo che il pubblico di tutto il mondo le ha tributato e che, oggi più che mai, nel giorno dell’addio, le riconosce solennemente.
L'articolo Addio a Shelley Duvall, musa di Altman e per tutti l’indimenticabile Wendy, moglie di Jack Nicholson in Shining (video) sembra essere il primo su Secolo d'Italia.