/ PAVIA. Dovrebbe avere una funzione rieducativa, invece per qualcuno è diventato un luogo di morte. E ieri mattina sull’emergenza suicidi in carcere avvocati penalisti, magistrati e operatori che lavorano a contatto con i detenuti si sono ritrovati, insieme, per far sentire la loro voce. Una “maratona oratoria”, come le Camere penali (gli organismi che rappresentano gli avvocati penalisti) hanno voluto chiamare l’iniziativa che si è svolta in tante città italiane, e che a Pavia, davanti al palazzo di giustizia, nella città dove ci sono stati 12 suicidi in quattro anni, ha preso la forma di un presidio animato, di tre ore, con tanti interventi. Non solo quelli degli avvocati (anche i giovani dell’Aiga) che hanno organizzato l’iniziativa (introdotta dalla presidente della Camera penale Eleonora Grossi): al microfono si sono alternati anche magistrati che, all’interno del tribunale svolgono diverse funzioni.
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Tra loro il giudice delle indagini preliminari Pasquale Villani, magistrato che, tra le altre cose, emette le ordinanze di custodia cautelare, Chiara Giuiusa, magistrata della procura, e il giudice del dibattimento Vincenzo Giordano, che hanno parlato di «fallimento del sistema: ogni morte ci mette di fronte a questa realtà».
«Le carceri parlano di noi»
Per il giudice Villani, che è partito dalla sua esperienza quotidiana di magistrato, «le condizioni delle nostre carceri dicono tanto di quello che siamo noi come Repubblica. Lo sguardo delle persone detenute ci dice chi siamo, anche se per come vengono rappresentate, anche dai media, c’è sempre un non detto: quando parliamo di persone sottoposte a misura per fatti anche turpi e tragici c’è una espressione di sollievo da parte della comunità, perché quella sorte non ha toccato noi. Invece quello sguardo definisce noi in quello che facciamo, noi come parte di una comunità repubblicana».
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«Un tema che unisce tutti»
Per la magistrata Giuiusa quello dei suicidi è «un tema che unisce tutti e chiama a una riflessione generale. Quando il suicidio è in carcere allora la domanda è: dove è finita la funzione rieducativa della pena? Non dobbiamo smettere di interrogarci sul senso ultimo del nostro lavoro e fare tutto quello che è possibile per evitare che queste tragedie avvengano davanti a nostri occhi».
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Il giudice Vincenzo Giordano ha parlato a nome dell’Anm pavese, «che da sempre conduce questa battaglia, anche se questa battaglia oggi ci vede perdenti. Questo è un tema di tutti e ben vengano questi momenti. Dobbiamo continuare a impegnarci, perché il carcere diventi un’occasione di cambiamento». —