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Melenchon vince le elezioni ma per i centristi non deve governare.  Macron: “un governo tecnico o nuova coalizione”

La lezione che arriva dalla Francia è sorprendente ed eloquente. Come in una partita decisa e ribaltata nei tempi supplementari l’exploit, inatteso in queste proporzioni, della gauche, unita nel Fronte Popolare, ha respinto quella che sembrava una vittoria annunciata della destra estrema guidata da Marine Le Pen.  Questo grazie, ad un’affluenza di massa al voto (66,63%).

  Un successo che ha visto la netta affermazione di La France Insoumise (74 eletti).  Un partito fondato e guidato dal 2016 da Jean Luc Melenchon che ora chiede il mandato a governare.  Il Nuovo Fronte Popolare ha eletto 182 deputati, di cui 74 sono della formazione di Melenchon (più tre dissidenti), 59 del partito socialista, 28 ecologisti, 9 comunisti e 5 per generation.

 Al centro i moderati di Ensemble, con un Macron che si è giocato tutto in questo azzardo elettorale, sono  sorprendentemente ritornati davanti, conquistando 168 seggi, superando la destra di Rassemblement National (143 eletti). Una destra che, nel primo turno, si era imposta alla grande con il 30% dei consensi. Il partito di Marine Le Pen ha tuttavia ancora ottenuto il maggior numero di voti a livello nazionale, ma è stata penalizzata dal gioco dei collegi uninominali che ha premiato un fronte popolare che ha evitato ogni dispersione di voti, ritirando tutti i candidati arrivati terzi ai ballottaggi. La cocente sconfitta ha aperto un’ inevitabile  resa dei conti vede a destra, con  tensioni  tra il giovane astro nascente di RN Jordan Bardella e Marine Le Pen e con polemiche accese per il livello (alquanto modesto) dei candidati proposti in una battaglia che si riteneva già vinta.  

A sinistra è da registrare il ritorno in scena di quello storico partito socialista di Mitterand che sembrava destinato a un ineluttabile declino. 

Macron: “rischio stallo istituzionale tra instabilità e ingovernabilità”

Emerge un quadro di grande incertezza, con il rischio di un possibile stallo istituzionale, visto che nessuna coalizione è in grado di raggiungere da sola la maggioranza di quota 289 sui 577 seggi dell’Assemblea nazionale, in un quadro politico ad alta conflittualità.  “C’è il rischio di una instabilità permanente e di ingovernabilità” è il commento di Macron, alla vigilia delle sue dimissioni di rito da presidente, anche se è prevedibile un suo possibile permanere in qualità di traghettore.  Il leader transalpino, ormai alla vigilia delle Olimpiadi parigine, ha aggiunto: “Bisognerà inventare una coalizione nuova, guardando a Germania, Italia e Belgio, cercando un governo di coalizione o un governo tecnico”. Un quadro che vedrebbe al centro Ensemble, la formazione centrista del leader francese per quella che ha definito “una maggioranza plurielle per un governo di ricostruzione”.   L’obiettivo è superare l’empasse legata all’incompatibilità tra il centro e i populisti di Melenchon. Per questo sono allo studio possibili alleanze, tagliando fuori France Insoumise, e coinvolgendo sinistra moderata, verdi e alcuni indipendenti.

Formazioni che, al momento, non sembrerebbero certo entusiaste di questa collaborazione.  Certo una loro adesione governativa, senza l’alleato Melenchon, potrebbe costargli molto in termini di consenso. In ogni caso si tratta di un quadro molto complesso e carico di incognite perché è evidente come non sia facile tenere fuori la formazione che ha vinto le elezioni.

La grande partecipazione al voto

Solo una mobilitazione forte con parole d’ordine nette, ovvero sconfiggere una destra, xenofoba, antisemita, con riflessi sovranisti e putiniani, ha permesso di evitare una sconfitta che avrebbe avuto pesanti risvolti sul futuro dell’Europa e sugli equilibri internazionali. Certo ora sussiste un quadro alquanto complicato per la governabilità, ma l’arte della politica è saper mediare e trovare delle soluzioni (come avvenuto in Germania).  Un successo che la dice lunga su una partecipazione popolare che si anima. ben oltre i diktat e le polemiche tra partiti, si ricompatta e si esalta su chiari obiettivi condivisi. 

Anche il quadro francese, come accade in Italia, registra specie a sinistra un puntuale eccesso di polemiche  tra partiti e partitini e soprattutto tra leader malati di protagonismo. Un quadro che, seguendo un trend persistente da tempo in tutte le democrazie occidentali, ha di fatto allontanato in questi anni tante persone dal voto. In particolare tra giovani e ceti popolari.   Persone che ora in Francia (come in Spagna) sono ritornate in massa ai seggi per mettere un argine a una destra estrema che rischiava concretamente di governare sul paese. Una destra che sul tema sicurezza ha trovato la chiave per la sua continua vigorosa ascesa.  

Mentre in Italia il populismo grillino si è alquanto ridimensionato, in Francia le battaglie su pensioni, salari, condizione sociale hanno mobilitato una piazza che quando si “arrabbia” è quanto mai tenace, portando acqua al mulino di una sinistra, tanto per cambiare delusa e rissosa, che, da tempo, non sopporta il moderato e pragmatico Macron. Un personaggio criticato ma occorre dare atto che la sua mossa d’azzardo totale con le immediate elezioni, abbia pagato più di ogni altra mediazione. 

Fare un governo. Con chi?

Dopo l’entusiasmo per l’incredibile successo del Fronte Popolare e dei moderati di Macron, passati sorprendentemente davanti  la formazione di Marine Le Pen, c’è grande fibrillazione per trovare una sintesi che dia un governo alla Francia. 

Al centro dell’attenzione è il vincitore di queste elezioni. Quel funambolico Jean Luc Melenchon che ha già espresso, come primo partito, la volontà di avere il mandato per la Nuova Assemblea Nazionale. Questo mentre i suoi teorici dichiarano di voler attuare, senza e senza ma, un programma dai risvolti populisti, in una nazione divisa di fatto in tre tronconi ben distinti. Un programma insoumise quanto mai ostico per una maggioranza parlamentare quanto mai eterogenea. Ricordiamo come tra i mantra di Melenchon vi sia la pensione ai 60 anni, il blocco sui prezzi di prima necessità e un salario minimo a 1600 euro al mese. Un programma popolare dai costi elevatissimi.  Sussistono inoltre forti divergenze sul piano internazionale (Ucraina).  

Come avvenuto per i nostri pentastellati, anche France Insoumise deve fare i conti con una realtà quanto mai conflittuale, oggetto anche di discusse epurazioni. In questo quadro turbolento, esasperato dalla campagna elettorale,  c’è attenzione per un “moderato del movimento” come Francois Ruffin. Un giornalista e regista documentarista, nato a Calais nel 1975, eletto come indipendente, che potrebbe rappresentare una carta importante in una trattativa con Macron, visto il muro che incontrano le possibilità di vedere un Jean Luc Melenchon a capo del governo. Certo la reciproca avversità tra France Insoumise e Ensamble non lascia molto spazio a larghe maggioranze e si lavora con il bilancino per trovare delle alternative. Anche se in politica mai dire mai… 

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