MONFALCONE Erano le 19, martedì, quando il secondo imam Mizanur Rahaman ha infilato la mano nella buca delle lettere di via Duca d’Aosta e ha fatto un balzo, sconvolto dal contenuto della busta lì per lì aperta.
Il Corano in fiamme, come già 7 mesi prima, ma stavolta peggio: una pagina bruciata del testo venerato e un’altra lordata da escrementi. Entrambe accompagnate poi da un messaggio inequivocabile (e pure con un errore grammaticale): «Il sacro Corano che pulisce il culo dei crristiani».
Sulla busta un mittente generico e un indirizzo palesemente falso, almeno agli occhi della comunità del Baitus Salat, per la seconda volta destinataria di esecrabile missiva. Da Fiumicino, il timbro.
A novembre, lo stesso mese in cui erano state varate le ordinanze dirigenziali che congelavano la preghiera di massa nei locali per l’asserita non conformità della loro destinazione d’uso ai dettami del Piano regolatore comunale – vicenda con recenti risvolti al Tar, due settimane fa, favorevoli proprio ai centri islamici –, il bollo della prima lettera recava invece l’indicazione del centro di smistamento di Padova. Mentre il mittente appariva riconducibile semplicemente a un luogo, Cinisello Balsamo, Milano nord. E niente più.
Per Bou Konate, presidente onorario del Darus Salaam, subito investito dal caso da Mizanur Rahaman, pochi dubbi sul fatto che la mano possa esser la stessa. «Le pagine stavolta strappate paiono tratte dal medesimo libro, che ha sulla facciata principale le sacre scritture in arabo, sul retro la traduzione in italiano», riporta Bou Konate.
Non fogli presi a caso, comunque. La prima volta si trattava del capitolo 18, una sura centrale del Corano, che contiene tre storie di notevole spessore spirituale e concettuale, relative all’intreccio delle tre religioni monoteiste. Stavolta il capitolo è mariano (la storia di Maryam e della nascita di Gesù, per i musulmani un profeta, versetti 16-36).
La Digos si occupa del caso. E dalla Questura arrivano rassicurazioni: si faranno tutti gli accertamenti del caso in raccordo con l’autorità giudiziaria, la comunità può stare tranquilla. Insomma: ci pensa la Polizia di Stato a preservarla dalle minacce.
Ma è alla politica, di maggioranza e opposizione, che Konate si rivolge chiedendo di rompere il silenzio: «Bisogna prendere posizione e smarcarsi dal gesto o queste cose continueranno». la comunità, che ha appreso il fatto durante la salāt del maghrib, preghiera del tramonto, è preoccupata. L’ex assessore della giunta Pizzolitto avverte un pesante clima islamofobico: «Siamo veramente stufi». Anche scoraggiati e per nulla spronati alla denuncia: «Non serve granché», dice Konate. L’anonimo scrittore della prima missiva, del resto, tale è fin qui rimasto.
E la parola, una parola di biasimo senza indugi, della sindaca agli sgoccioli di mandato, non si fa attendere: «Ferma condanna del gesto, ma inaccettabile e irresponsabile la strumentalizzazione dell’accaduto per alimentare polemiche contro di me, già sotto scorta per le bugie raccontate da sinistra e centri islamici».
«L’oltraggio, l’ingiuria e ancor di più la profanazione dei simboli di fede vanno sempre condannati senza alcuna riserva – rileva Anna Cisint – perché trasformano il legittimo diritto al dissenso in un atto di pura inciviltà, anche quando vuole assumere il carattere del dileggio beffardo. Ciò vale a maggior ragione per chi, come me, si batte quotidianamente per la dignità delle persone e il rispetto della legalità. Nulla giustifica fatti del genere».
L’amministrazione esprime quindi «solidarietà» al Darus. Tuttavia «non appaiono accettabili» le «posizioni di chi intende portare avanti una strumentalizzazione a senso unico, con inverosimili riferimenti alla situazione locale» e «il diverso metro di misura di chi in passato ha mostrato totale indifferenza o intollerabili simpatie verso le reali minacce alla mia persona, che hanno portato l’autorità a mettermi sotto scorta».