I dazi sulle importazioni di auto elettriche cinesi che la Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, aveva annunciato nel suo ultimo discorso sullo stato dell’Unione sono stati effettivamente introdotti. Si tratta di importi significativi, fino al 48%, anche se inferiori a quelli introdotti dagli Stati Uniti, che arrivano fino al 100%. Dall’industria tedesca si è però levato un fortissimo grido di allarme. I dazi possono essere infatti un’arma a doppio taglio.
Al momento, le esportazioni di auto e componenti verso la Cina sono di gran lunga superiori alle importazioni da quel Paese. Un terzo della produzione delle case automobilistiche tedesche è venduto in Cina. Vi è conseguentemente il forte timore che la Cina possa sfruttare l’occasione per imporre dazi ritorsivi sulle auto europee (oltre che su altre categorie di beni). Facendo ciò Pechino spingerebbe la propria domanda interna a sostituire gli acquisti di auto tradizionali di importazione con acquisti di auto elettriche di produzione propria, accelerando un processo purtroppo già in atto. Ciò le darebbe un doppio vantaggio: aumentare la propria indipendenza strategica in termini di tecnologia importata (i motori a combustione interna, su cui l’Europa ha un’indubbia superiorità tecnologica) e ridurre il proprio fabbisogno di petrolio importato.
Dobbiamo tutti rammentare, infatti, che la Cina dipende come noi dal petrolio per la propria mobilità ma, a differenza di noi, ha ampia capacità di raffinazione del litio, l’elemento fondamentale per la realizzazione delle batterie elettriche. Il passaggio all’auto elettrica, che per noi sostituisce una dipendenza con un'altra - petrolio con litio - nel loro caso rafforza invece l’indipendenza strategica.
L’Europa, purtroppo, con le sue scelte sulla mobilità sostenibile, sembra essersi infilata da sola in un cul-de-sac. Se elimina o riduce i dazi sulle importazioni di auto elettriche cinesi rischia di vedere i propri produttori soccombere di fronte alla concorrenza asiatica. Se mantiene i dazi e la Cina impone dazi ritorsivi, mette a rischio le proprie esportazioni di auto e di conseguenza un pilastro fondamentale dell’industria metalmeccanica europea. A pagare la parte salata del conto saranno, come d’uso, probabilmente i lavoratori e le piccole e medie imprese dell’indotto che, a differenza delle grandi multinazionali - che pur certamente non saranno contente - non hanno effettivamente l’opzione di delocalizzarsi in un altro continente. Che fare quindi?
Bisogna contemporaneamente eliminare la norma che porta all’obbligo di non poter produrre o vendere, nei fatti, a partire dal 2035, che auto elettriche, sia i dazi sulle importazioni di auto cinesi. Non ridurre o rinviare. Eliminare.In questo modo, la domanda di auto elettriche si sgonfierà naturalmente e da sola. Il mercato ha già dato ampi segnali sul fatto che vi è in realtà pochissima domanda naturale per le auto elettriche. La domanda che c’è è in larghissima parte indotta o forzata da obblighi regolamentari o da incentivi economici, difficilmente sostenibili economicamente su scala massiva. Questo vuol dire abbandonare gli sforzi sulla decarbonizzazione? No, la decarbonizzazione è necessaria, non solo per proteggere l’ambiente, ma anche per diminuire la nostra dipendenza dal petrolio, una materia prima problematica per la quale si sono combattute e si combattono guerre. Vi sono però tanti modi più realizzabili e sostenibili per farlo. Nel caso della mobilità, ad esempio, puntare sui biocombustibili. Basterebbe ascoltare un po’ di più l’industria europea, la quale non è composta solo da profittatori o inquinatori, come alcuni a volte sembrano pensare, ma in larghissima parte da cittadini come tutti gli altri, che comprendono e hanno a cuore il bene comune della comunità in cui vivono.