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Francia, cosa succede ora dopo le elezioni: il rebus-maggioranza, il nome del premier e la tenuta dell’unità a sinistra

Francia, cosa succede ora dopo le elezioni: il rebus-maggioranza, il nome del premier e la tenuta dell’unità a sinistra

I porta a porta, i comizi e le spedizioni per sostenere i candidati in difficoltà. I volantinaggi nei quartieri più a destra, le campagne virali sui social cercando di parlare ai giovani e le chiamate martellanti per andare alle urne. Fino addirittura agli appelli dei calciatori dagli Europei. Quando la Francia, dopo un mese sulle […]

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I porta a porta, i comizi e le spedizioni per sostenere i candidati in difficoltà. I volantinaggi nei quartieri più a destra, le campagne virali sui social cercando di parlare ai giovani e le chiamate martellanti per andare alle urne. Fino addirittura agli appelli dei calciatori dagli Europei. Quando la Francia, dopo un mese sulle montagne russe, ha deciso di consegnare alla sinistra la vittoria delle elezioni legislative, ai militanti del Nuovo Fronte Popolare sono passati davanti agli occhi i quindici giorni di campagna elettorale più schizofrenici di sempre. “Mi viene da piangere”, la reazione incredula di una delle migliaia di militanti de la France Insoumise. “C’est ouf” (“E’ incredibile”), titola la prima pagina di Libération per una delle edizioni che già si può considerare storica. Perché la rimonta della sinistra, mentre tutto il Paese si preparava all’ondata dell’estrema destra, può essere solo definita storica. Ora però, passata la sbornia per il successo insperato, si apre una delle partite più difficili di sempre. Senza una maggioranza assoluta, chi arriva primo può provare a dettare condizioni, ma è già condannato in partenza ai compromessi. L’Assemblea nazionale divisa in tre blocchi sarà governabile? Quale primo ministro può avere i numeri sufficienti per resistere? E il fronte unito delle sinistre reggerà alla prova, che sembra inevitabile, delle coalizioni? Come ogni giorno da un mese a questa parte, sono più le domande che le risposte. La Francia si muove in un terreno inesplorato, dove per la prima volta ci si sposta in Parlamento e il potere non è più soltanto delle mani del presidente della Repubblica. Lo ha detto anche il vero sconfitto di questo turno Jordan Bardella: “Si apre una fase nuova”. Tutto da oggi può essere diverso e non mancheranno altre prime volte. E, naturalmente, le sorprese.

Il rebus maggioranza – Al di là delle classifiche, i partiti oggi fanno i conti con i numeri di seggi effettivi ottenuti nell’Assemblea nazionale. I risultati definitivi dicono che la sinistra elegge 178 deputati, segue il partito di Macron Ensemble con 156. Solo terzo il Rassemblement National di Marine Le Pen con 142 seggi, ovvero 44 in più rispetto alla scorsa legislatura. Cosa significa nella pratica? Nessun blocco è arrivato alla soglia di 289 eletti per la maggioranza assoluta. Bisogna tenere presente che, in Francia, è possibile formare governi sostenuti da maggioranze relative e non è necessario che avvenga un voto di fiducia al momento dell’insediamento del premier. E’ il caso dell’ultimo governo Attal che, tra le tante cose, per far passare la riforma delle pensioni ha usato l’articolo 49.3 delle Costituzione (ovvero non ha chiesto il voto dell’Aula). Ma con blocchi ancora più vicini rispetto a quelli uscenti, il margine rischia di essere davvero molto sottile per chiunque voglia andare all’esecutivo. C’è una espressione che politici e commentatori stanno usando sempre di più nelle ultime ore: inizia una fase di “parlamentarizzazione” e meno “presidentalizzazione”. Per dirla più semplice: “Dovremo imparare a discutere e confrontarci perché l’Assemblea è divisa”, ha dichiarato il leader moderato dei socialisti Raphael Glucksmann. Che cosa vorrà dire, è presto per saperlo. Ma di sicuro la lotta tra gli estremi, da una parte e dall’altra, dovrà fare i conti con la necessità di trovare un punto di incontro in Parlamento.

Il nome del o della primo ministro – Il primo ostacolo sarà decidere su chi puntare per guidare il nuovo esecutivo. Jean-Luc Mélenchon lo ha detto dieci minuti dopo l’annuncio dei risultati: “Spetta al Nuovo fronte popolare governare”. Macron ha solo fatto sapere che serve “cautela” e già fra 24 ore sarà in partenza per gli Stati Uniti. Quindi, presumibilmente, ci vorrà tempo. L’unica data fissata è quella del 18 luglio, quando l’Assemblea nazionale dovrà votare il nuovo presidente. Chi deve guidare le danze? Se si guardano gli equilibri della nuova Assemblea nazionale, il primo partito è proprio la France Insoumise (subito dietro però i Socialisti). Ieri notte Mathilde Panot, ex capogruppo e rieletta degli Insoumis, intervenendo su BFMTV, ha dato qualche indicazione: “Il partito con più deputati proporrà agli altri membri del fronte popolare il nome che ha scelto. E lo faremo solo per applicare il nostro programma”. Insomma, potrebbe essere questa una strada: la France Insoumise porta il suo nome al tavolo delle sinistre e poi si cerca di mediare. Difficile, se non impossibile, che sia quello di Mélenchon. A meno che l’obiettivo non sia quello di spaccare. Dall’altra parte il primo ministro Gabriel Attal, dopo aver annunciato le sue dimissioni, è tornato in fretta e furia sulla linea che li ha portati a schiantare: ovvero estrema destra ed estrema sinistra sono “lo stesso” e non possono stare al governo. Ora la palla spetta di nuovo a Emmanuel Macron, che dovrà in qualche modo indicare la strada e disegnare la cornice entro cui muoversi. Sul fronte opposto Jordan Bardella, quello che per due settimane si è sentito già seduto a Matignon (il francese Palazzo Chigi), osserverà mangiandosi le mani. Ma neanche troppo: da un quadro di logoramento a sinistra, forse proprio l’estrema destra potrebbe raccogliere ancora e di nuovo vantaggi.

La tenuta della sinistra – Infine, ma non per importanza, c’è il tema della tenuta del Nuovo Fronte Popolare della sinistra. Sono nati in cinque giorni, subito dopo le elezioni Europee, e hanno firmato un contratto di legislatura. La tregua è stata sottoscritta intorno ad alcuni punti fondamentali, tra cui: abolizione della riforma delle pensioni di Macron, aumento del salario minimo e tasse ai più ricchi. Quel documento è, per ora, lo strumento che li tiene uniti, in un clima di tensione che già durante la campagna elettorale ha rischiato di farli (un po’) deragliare. Ma quando c’è un nemico comune ci si compatta in un attimo, più difficile restare uniti in tempo di relativa pace. Mélenchon, il leader dei Socialisti e la segretaria dei Verdi hanno tutti, a caldo, detto che l’obiettivo è realizzare il programma e lavorare per quello. Ma i numeri sono davvero troppo risicati per imporre un piano così connotato a sinistra e farlo in un’Assemblea nazionale così divisa. Dal primo giorno dell’unione del resto, si sa che c’è una sinistra considerata “moderata” che mal sopporta gli estremi de la France Insoumise e che sarebbe pronta a mollarla. Ma per andare a governare con i macroniani? A chi potrebbe fare bene andare a sedere allo stesso tavolo della forza politica del presidente più detestato di sempre? Eppure qualcosa si muove. Gli osservati speciali sono i Socialisti: loro che alle Europee, guidati dal moderato Glucksmann sono risuscitati al 13% (sopra Mélenchon al 9) e che hanno candidato l’ex presidente della Repubblica François Hollande. Proprio l’ex capo dell’Eliseo è uno di quelli che, non a caso, ha usato parole istituzionali per l’unità e il dialogo. E ha incassato la chiamata di complimenti di Macron per l’elezione in Corrèze. Ha negato che sarà lui il primo ministro, ma è in quel campo che si vanno a cercare accordi e mediazioni. Il Nuovo Fronte Popolare però, ha sulle spalle la responsabilità di aver portato a votare una marea di persone e di averlo fatto nel momento più alto di disaffezione. Quella mobilitazione civica li osserverà attentamente per vedere se davvero, votarli per fare “barrage” all’onda nera, è stata la mossa giusta. O ha permesso, di nuovo, a Emmanuel Macron di fare i suoi interessi.

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