Senko Karuza, scrittore, poeta, ex docente, ha lasciato l’Università di Zagabria per tornare sulla sua isola a raccontare l’assalto turistico, il pericolo per l’ambiente
TRIESTE. Chissà che cosa avrebbe detto Marcel Proust, se gli fossero state offerte delle sardelle sfrigolanti, appena tolte dalla gradela, da prendere con le mani, ungendosi le dita e il bicchiere con cui sorseggiare la bevanda. La surreale immagine mi è venuta leggendo l’ultimo capitoletto del libro “Isola. Storia di un filosofo-chef dal cuore dell’Adriatico”, di Senko Karuza, edito da Bottega Errante, 272 pagine, 17 euro. Un libro che sento molto nostro, intendo della gente che è nata sulla sponda orientale di questo mare conteso, diviso e costellato di isole come Lissa (Vis) in cui si possono riconoscere tutte le altre.
Lissa, per anni proibita al turismo, come spiega l’ottima traduttrice Ginevra Pugliese, anche lei di questa terra (è nata a Portogruaro e ha studiato lingue slave a Trieste) che scrive: “Fino al 1989 non vi era permesso l’accesso agli stranieri. Nel corso della seconda guerra mondiale Vis era sede del comando del movimento partigiano di Tito e fino al 1992 era rimasta base militare dell’Armata jugoslava, con caserme e rifugi militari, alcuni anche nelle grotte marine. Il turismo a Vis esiste solo da 30 anni, mentre sull’isola di Hvar (Lesina) esiste da 130. Senko Karuza quindi è stato testimone diretto dei primi cambiamenti portati dal turismo con i suoi aspetti positivi ma anche negativi che vengono trattati in molti dei suoi racconti”.
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L’autore stesso è un personaggio da romanzo. Scrittore poeta e filosofo è nato a Spalato il 18 giugno 1957, adolescenza a Lissa, studi a Spalato e laurea in Filosofia all’università di Zagabria, dove ha pure insegnato.
Ma la città non faceva per lui e ha preferito tornare nella sua isola, il suo scoglio dove ha aperto una konoba in cui offre ai visitatori il pesce che lui stesso pesca, grigliato o in brodetto, annaffiati col vino che lui stesso produce. Quindi uno chef non stellato che propone la genuinità di un tempo. Uno chef che può dedicarsi alla scrittura: ha pubblicato otto raccolte di racconti e due sillogi, tradotte in diverse lingue straniere.
L’Isola è un libro mosaico dove i brevissimi racconti costituiscono le tessere, tenute insieme dalla riflessione anche ironica, come quando scrive: “Forse sarebbe più saggio se sulla piccola mensola in cantina su cui stanno tutte le attrezzature possibili e immaginabili che dovrebbero servire per fare il vino, compresi diversi libri e manuali ci fosse il libro di Marcel Proust “Alla ricerca del tempo perduto”. Non sarebbe un libro da leggere e sopra ci potrebbe stare tranquillamente la polvere. Sarebbe uno di quei libri letti tanto tempo fa, ma a cui non rinuncio e che non presto, non lo prendo nemmeno più in mano per ricordarmi di qualcosa, ma deve vivere tutta la vita come un compagno silenzioso accanto a me, come promemoria che anch’io ho tessuto una parte della mia anima dalla sua trama sottile”.
La citazione suggella il lavoro di Senko Karuza: anche la sua è una Recherche e si può immaginare che il pescatore bruciato dal sole e il pallido dandy parigino mangino sardelle e huîtres a Doville.
Ma c’è di più: come in tutte pagine, scavando sotto le frasi semplici, le battute, le bestemmie si trova la vera essenza di quel che lo scrittore vuole esprimere: l’enorme valore della memoria, anche di quella fatta di piccoli squarci di vita quotidiani, di archetipi, come il nonno che desidera di morire e non muore mai, della zia Anka che piange preparando torte, degli amici sempre più rari che si trovano in piazza davanti al bar chiuso per ferie, dei pescatori sempre più rari che tentano di trovare qualcosa in un mare sempre più povero. Delle orde di turisti che sciamano per l’Isola da traghetti e navi da crociera. E ci spiega che sta accadendo anche a noi delle città, travolti da una modernità che non abbiamo cercato ma che ci è piombata addosso, che dobbiamo imparare a gestire. E da fenomeni molto più grandi di noi come i cambiamenti climatici, il turismo di massa, la devastazione dell’ambiente.
Ma non pensate che Karuza veda tutto nero, che sia un laudator temporis acti, o per dirla semplice un passatista. No, nella seconda parte del libro che la brava traduttrice lo ha convinto ad aggiungere, l’autore sempre nel suo modo ironico e apparentemente distaccato confessa: “Questi testi sono il tentativo di registrare la trasformazione di un mondo in un altro, il morire e il nascere, un flusso di cose che, credo, è ugualmente tragico e comico – come i tanti altri eventi che giungevano sull’isola e la lasciavano insistentemente sola”.