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I focolai di tubercolosi e la carne degli animali infetti finita nei piatti: le mani dei clan sulla macellazione clandestina in Sicilia. Antoci (M5s): “Intervenga l’Ue”

Per riciclare denaro sporco devono prima riciclare gli animali. Bovini e ovini infetti che dovrebbero essere abbattuti perché possono trasmettere malattie all’uomo. E invece vengono macellati clandestinamente, trasformati in bistecche che finiscono a tavola. È un meccanismo perverso quello che da anni si muove nei pascoli siciliani. Un fenomeno nero, sul quale si allunga l’ombra di Cosa nostra, che mette a rischio la salute delle persone: negli ultimi 12 mesi sono 27 i focolai di tubercolosi e 17 quelli di brucellosi che si sono registrati solo in provincia di Palermo. Numeri ufficiali, che però in passato si sono spesso rivelati più bassi di quelli reali. L’effetto è che in Sicilia si registrano ancora oggi casi di umani infettati dalla tubercolosi o dalla brucellosi. Malattie quasi scomparse nel resto d’Italia, che si manifestano con forti febbri, dolori articolari, problemi alla milza o al fegato e in certi casi persino la sterilità. “Questa è un’emergenza sanitaria, la Commissione europea deve intervenire e combattere in modo più incisivo questo business che mette a repentaglio la salute dei siciliani”, dice Giuseppe Antoci, eurodeputato appena eletto dal Movimento 5 stelle, che sta sollevando il caso anche a Bruxelles.

Il meccanismo – Di mafie e macellazione clandestina, Antoci si è occupato nell’esperienza da presidente del Parco dei Nebrodi: una riserva naturale da 85mila ettari che comprende 25 comuni tra le province di Catania, Enna e Messina. Molti di quei terreni erano stati dati in affitto dalla Regione Siciliana e dai Comuni ai boss di Cosa nostra, ai loro parenti e ai loro prestanome. Sui giornali l’avevano definita la mafia dei pascoli, ma a dispetto del nome arcaico è un’organizzazione moderna e dinamica. Il meccanismo era semplice e diabolico al tempo stesso, come spesso accade nelle cose di mafia: per ogni ettaro veniva pagato un canone di affitto compreso tra i 12 e i 30 euro. Quello stesso ettaro, però, arrivava a fruttare tra i 300 e i 900 euro di fondi Ue. “Un business paragonabile al narcotraffico, solo che in questo caso la percentuale di guadagno è maggiore, mentre quella di rischio è pari a zero”, aveva spiegato Antoci al ilfattoquotidiano.it. Oggi il neo deputato racconta quello che era un altro business della mafia dei pascoli: la macellazione clandestina. “Per accedere ai fondi Ue, gli animali devono essere sani. Ecco perché a un certo punto comincia a svilupparsi il business del riciclaggio di animali: le bestie venivano sostituite”, racconta sempre Antoci, che da neo eletto all’Eurocamera chiederà l’intervento di Bruxelles. “La Commissione europea deve fermare le infiltrazioni mafiose nella filiera delle carni, chiederò di recuperare immediatamente i fondi europei della Pac che sono stati versati in passato ai titolari di aziende mafiose nonché di combattere la mafia dei pascoli e le sue ramificazioni nella burocrazia siciliana con strumenti normativi più adeguati a questa sfida”.

Il gruppo di “poliziotti vegetariani” – Per infiltrarsi nel mercato della carne, i clan utilizzavano un sistema semplice, basato sulla sostituzione del microchip usato per identificare ovini e bovini, cioè il cosiddetto bolo alimentare. Quando gli animali si ammalavano, venivano macellati in mattatoi abusivi, improvvisati nei casolari tra i Nebrodi e le Madonie. In questo modo venivano trasformati in bistecche che poi finivano sulle tavole dei siciliani. Ma in caso di controlli come si sarebbe giustificata la “scomparsa” dei bovini infetti? Semplice: grazie al fatto che venivano sostituiti con altri animali sani, rubati, ai quali veniva impiantato il bolo di quelli infetti inviati nei macelli clandestini. Ecco perchè nell’ultimo decennio in Sicilia si è registrato un incremento nei furti di bestiame: tra il 2011 e il 2016 erano almeno mezzo milione i bovini e gli ovini scomparsi sull’isola. E se da una parte l’abigeato rappresentava l’ultima emergenza criminale siciliana, dall’altra si è registrato un boom di animali malati: su 434 focolai di tubercolosi registrati a livello nazionale nel 2016, ben 334 erano soltanto in Sicilia. Di questi addirittura cento erano i casi scoperti a Caronia, piccolo comune della provincia di Messina. “È credibile che un terzo dei casi sia stato trovato solo in uno dei centri controllati? O forse negli altri casi venivano considerati sani interi allevamenti che invece erano infetti?”, si chiedeva anni fa un investigatore. È su questo, infatti, che ha indagato la squadra della Polizia guidata dall’allora vice questore Daniele Manganaro del commissariato di Sant’Agata Militello. Li avevano ribattezzati i “poliziotti vegetariani“, perché hanno tutti smesso di mangiare carne durante le indagini. “Più scoprivamo illegalità e più, uno dopo l’altro, abbiamo smesso di mangiare carne“, aveva raccontato Manganaro. Spesso capitava che, durante i blitz negli allevamenti, i poliziotti scoprivano vitelli appena nati con il bolo corrispondente a quello di animali vecchi di sette anni.

La commissione e la relazione top secret – È in quei mesi che il clima si fa pesante. All’allora presidente del parco dei Nebrodi arriva una lettera con scritto: “Morirai scannato, tu e Crocetta“. Poi, il 18 maggio, scatta l’attentato: sparano sulla sua auto blindata, dopo aver bloccato una strada di montagna con alcuni massi. “Contro di noi c’erano più fronti: Cosa nostra e ‘ndrangheta che rischiavano di perdere i fondi Ue, ma pure colletti bianchi, veterinari e commercialisti che su questo sistema lucravano. Eravamo al centro del fuoco incrociato”, ricorda oggi Antoci. Dopo l’attentato, l’allora governatore della Sicilia Rosario Crocetta nomina una commissione per fare luce sulle infiltrazioni mafiose nel commercio delle carni. A guidarla viene chiamato Vincenzo Di Marco, stimato veterinario dell’Istituto zooprofilattico siciliano. Dopo mesi di lavoro, la commissione deposita una relazione lunga più di 450 pagine. Un vero e proprio atto d’accusa su come il sistema della macellazione sia infiltrato dalle organizzazioni criminali. Che fine ha fatto quel dossier? E’ ancora nei cassetti degli Assessorati, nonostante sia stato depositato pure alla Procura e alla Dia di Messina. A svelarne alcuni contenuti è stata l’edizione palermitana di Repubblica, che da settimane conduce un’inchiesta sul tema. La commissione guidata da Di Marco aveva scomperto interi allevamenti considerati indenni che invece contaminati da capi di bestiame malati, certificazioni Ue fasulle ottenute per accedere ai fondi comunitari, macelli clandestini gestiti da uomini dei clan. Parallelamente la squadra di esperti sottolinea come in Sicilia ci sia una recrudescenza di alcune malattie trasmesse dagli animali agli umani: nel 2016, solo a Messina, ben 133 persone avevano la brucellosi. Un fenomeno legato al business criminale: “Il rischio di trasmissione indiretta della tubercolosi bovina all’uomo è molto concreto alla luce dell’usanza diffusa della macellazione familiare o clandestina e dalla produzione di prodotti lattiero-caseari ottenuti dal latte crudo”. La relazione spiega anche che le responsabilità dei mancati controlli sono a livello centrale: il problema, insomma, non è il singolo veterinario che sta in prima linea sul territorio e che quindi è esposto a pressioni e ritorsioni. Secondo il team guidato da Di Marco bisognava intervenire ai vertici degli uffici responsabili nelle Asl e in Regione. Che cosa è successo dopo il deposito di quella relazione? Praticamente nulla: il testo integrale di quel dossier non è mai stato pubblicato e viene ancora oggi considerato top secret dagli uffici, mentre per nove anni (dal 2015 al 2024) l’Istituto zooprofilattico, che ha un ruolo centrale nel controllo delle carni, è stato guidato da un commissario, Salvatore Seminara, biologo in pensione, sostituito solo nei giorni scorsi dal governatore Renato Schifani. In compenso alcuni componenti della commissione guidata da Di Marco sono stati mobbizzati, puniti e in certi casi trasferiti lontano dalla Sicilia.

Le inchieste e le prescrizioni – Le indagini dei “poliziotti vegetariani“, invece, hanno portato a decine di arresti e centinaia di capi di bestiame sequestrati con l’operazione Gamma Interferon. Delle 41 persone rinviate a giudizio, però, solo sette sono state condannate in primo grado. Nel luglio del 2023, infatti, la sentenza del tribunale di Patti ha sancito la prescrizione per gran parte dei capi d’imputazione. Dalle indagini era emerso anche l’interesse di Cosa nostra nel traffico di farmaci illegali, provenienti dall’Est Europa: un business che faceva arrivare in Italia anche medicinali cancerogeni per gli animali. Oggi Mangarano è questore vicario di Cuneo: promosso per aver sventato l’attentato ad Antoci, è stato recentemente premiato con la medaglia d’oro al valor civile dal presidente della Repubblica. Due componenti del gruppo di “poliziotti vegetariani”, invece, sono deceduti a 48 ore di distanza l’uno dall’altro. L’1 marzo del 2018, l’assistente capo Tiziano Granata, 40 anni, muore per un arresto cardiocircolatorio, lo stesso giorno il sovrintendente Calogero Todaro, 46 anni, viene ricoverato per una leucemia fulminante: morirà il giorno dopo. Una morte duplice che qualcuno ha collegato alle indagini sulle macellazioni clandestine. In entrambi i casi, però, le indagini non hanno riscontrato anomalie: le inchieste sono state archiviate e le due morti considerate naturali.

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Nelle foto il sequestro di bestiame infetto e di medicinali illegali trovati negli allevamenti

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