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“Cacciai Tony Renis dalla Nazionale Cantanti e in Venezuela finii a cena dal boss Cuntrera. Ho avuto 5 tumori, senza il successo avrei fatto l’idraulico”: l’ultima intervista a Pino D’Angiò

“Cacciai Tony Renis dalla Nazionale Cantanti e in Venezuela finii a cena dal boss Cuntrera. Ho avuto 5 tumori, senza il successo avrei fatto l’idraulico”: l’ultima intervista a Pino D’Angiò

Le scommesse con Pupo ("Ogni sera perdeva milioni") e i litigi con Barbarossa ("E' sparito sulla sedia") nei ritiri della squadra di calcio dei cantanti, le avances femminili rifiutate ("State parlando con un imbranato") e i problemi di salute ("Mi hanno asportato un polmone"): pubblichiamo l'intervista rilasciata nell'aprile scorso al mensile Fq MillenniuM dal cantautore italiano, scomparso nelle scorse ore

L'articolo “Cacciai Tony Renis dalla Nazionale Cantanti e in Venezuela finii a cena dal boss Cuntrera. Ho avuto 5 tumori, senza il successo avrei fatto l’idraulico”: l’ultima intervista a Pino D’Angiò proviene da Il Fatto Quotidiano.

La sua Ma quale idea non è evergreen. È un intramontabile. E uno i quei brani che bivaccano nel cervello di ognuno senza neanche la consapevolezza del proprietario del cervello stesso. Ha venduto milioni e milioni di dischi nel mondo. Ha girato il mondo. Vissuto il mondo. Affrontato, a volte subito, in altre riso del mondo. Ha per tutta la vita mantenuto il giusto disincanto di chi trova ogni giorno un motivo per sorridere, per girare la padella ed evitare la brace. E oggi, superati i 70 anni, coccola il fanciullo che è in lui, ben consapevole che per essere Pino D’Angiò ci vuole intuito, coraggio, talento, quel briciolo di follia e anche tanto venerato culo.

Caro Pino D’Angiò, dopo l’ospitata a Sanremo con i BNKR44 la sua Ma quale idea è tornata virale sui social.
Ho il più grande ufficio stampa d’Europa. Sono i ragazzi che vengono a vedermi e poi postano sui media. Altro che case discografiche.

Nel 1981 con quell’inno dance-pop vendette 12 milioni di copie e conquistò il mondo. Presente, ovunque.
Undici anni dopo ero in Venezuela, un Telethon in tv. L’impresario italo-argentino mi fa: “Ci hanno invitato a cena, dobbiamo andarci per forza”. Arriviamo di fronte a un cancello nel mezzo del nulla. Strada sterrata, improvvisamente appare una villa grande quanto un paese. Il padrone di casa, oscenamente obeso, parla un misto di spagnolo e italiano teorico. Mi dà certe pacche sulle spalle che neanche Cannavacciuolo. È già ubriaco fradicio.

E… ?
Si ingozza come un maiale. A un certo punto propone: “Venite a vedere la mia discoteca”. Uno pensa a una collezione di vinili.

Invece?
Ci fa scendere in un sotterraneo. Una vera discoteca da 500 mq, con le luci rotanti, le palle con gli specchietti e l’impianto. Vuota, a parte i suoi tre figli e quattro amici. Si mette alla console e si improvvisa dj. Poi il grassone si blocca di colpo e urla: “Dovete visitare la mia proprietà”. Lì fuori vedo un piccolo Cessna. Siamo finiti, ho pensato. “È notte e non si vede una mazza”, gli faccio notare. Lui: “Es la verdad!”. Siamo salvi. Così tira fuori due bottiglie di whisky e ricomincia a trincare. Strilla che siamo grandi amici, vuole il mio telefono per rivedermi quando torna in Italia.

Glielo gira?
Sparo numeri a vanvera. Sulla via del ritorno, chiedo all’impresario: come ha fatto tutti questi soldi? Chi è?

Chi era?
Giorni dopo prendo un volo da Buenos Aires. Quotidiano italiano. In prima pagina la sua foto. Arrestato. Era uno dei fratelli Cuntrera, il clan più potente del narcotraffico tra il Sudamerica e la Sicilia. Se l’Interpol avesse trovato il mio telefono nella sua agenda…

Altri rischi?
Una volta torno in camera d’albergo e trovo mia moglie a letto

Cosa c’è di strano?
Che erano le sei del mattino, ero rientrato con le scarpe in mano e lei non avrebbe dovuto essere lì. Quello che mi disse non si può scrivere.

Il personaggio ironico di Ma quale idea, che prende buca sulla pista da ballo, non corrispondeva alla realtà?
Un cantante italiano, per contratto, a ogni tappa del tour pretendeva una ragazza diversa nel letto. Una voce del cachet.

Non era lei.
State parlando con un imbranato. Una sera a Bruxelles, dopo il concerto, mi sentii devastato dal volume dell’amplificazione, la batteria eccetera. Ero stordito, prendo un calmante. E c’è questa tizia. Io: “Scusa, ho bisogno di dormire, non ce la faccio più, per favore te ne vai?”. L’avevo offesa. “Non ti piaccio?”. “No, sei carina, ma io sto male”.

Come finì?
Feci in tempo a sentirla dire: “Bien, je te regarde”, prima che mi si chiudessero gli occhi. Al mattino trovai un suo bigliettino con scritto “Merci” e un cuoricino.

Playboy fallimentare.
In questo mestiere mi ci sono trovato per caso, non l’ho scelto. Però mi ha fatto fare cose che neppure in dieci vite. Avrei potuto diventare ciabattino. Forse non il medico, non ce l’avrei fatta a dire a un malato che la situazione è grave. Come è successo a me da paziente: cinque tumori, di cui uno alla gola, e un polmone asportato.

Nella Nazionale Cantanti avrà avuto meno tentazioni.
Cosa volete accada in un ritiro di tre giorni tra uomini? Io, Morandi, Mogol, Ramazzotti, Mengoli e gli altri? Si gioca a poker.

Responsabilmente.
Rilanci da quattro o cinquemila lire. Finché entrava in gioco Pupo: “Se vuoi vedere sono 500 mila lire”.

L’azzardo vero.
Pupo ogni sera perdeva milioni. Alle tre di notte, quando tutti erano andati a dormire, sentivi bussare alla porta. Toc toc. Era lui con un mazzo di carte.

Ancora?
Sussurrava: “Quanto devo a te? Trecentomila? Ce le giochiamo alla carta più alta?”. Pensavi: “Se esce a me sono seicentomila”. Però…

Però?
Pupo non mollava finché la carta più alta non usciva a lui. Dopo quattro o cinque mani azzerava il debito.

Lei aveva amici nella Nazionale?
Morandi. C’è stato un periodo in cui ero in difficoltà. Gianni disse: vieni a prenderti i soldi che ti servono. E non ne ha parlato più. Ci misi tre anni ma glieli restituii. Gli voglio bene. Con tutti quei presuntuosi che aveva attorno…

Tipo?
Senza preavviso si presenta alla partita Tony Renis. Non era contemplato nella formazione iniziale. Negli spogliatoi fa un discorso da Garibaldi: “Ehi, sono quello di Quando Quando Quando. Avete l’occasione di farmi giocare e non mi mandate in campo? Chi credete voglia vedere la gente?”. A me l’arroganza procura un dolore fisico. Mi giro e gli dico: “Renis, lo sai che hai rotto il cazzo? La gente non si ricorda neanche chi sei!”. Se n’è andato, per la gioia di tutti. Mio padre, uomo gentile, mi ripeteva: sii sempre educato, ma se devi far male fallo sul serio. Come con quell’altro…

Racconti.
A pranzo, tutta la squadra. Questo decide di insolentire Morandi, che lo ascolta senza ribattere. “Gianni, ma con tutti i successi che hai avuto, non avrei mai accettato quei filmini come te”. Sono sbottato: “E chi te li avrebbe mai proposti, i film? Hai fatto una canzone sola. Ti rendi conto chi è Gianni Morandi?”. Il signorino è sparito sulla sedia.

Il nome?
Luca Barbarossa.

Non la manda a dire a nessuno, D’Angiò.
Debutto in tv, un popolare contenitore del pomeriggio, Raiuno. Condotto da un deus ex machina dello spettacolo.

“Domenica In”, Baudo.
Ora ci vado volentieri, la Venier mi coccola. Quel giorno invece andai costretto dalla casa discografica. Dietro le quinte i responsabili del programma mi trattarono come un imbecille. Così me ne andai, snobbando la diretta.

Coraggioso.
Anni dopo ritrovo il signor conduttore. Fissa la telecamera per non guardarmi: “Pino, dicono tu abbia un grande seguito all’estero. Anzi, dillo tu”. Cosa? Avrei dovuto fare la figura del megalomane? Risposi: “Dillo tu che sei il presentatore”. Non so quanti abbiano avuto il coraggio di affrontarlo in quel modo.

La pagò?
Un autore potente mi sbarrava sempre la strada. Andai da Gasparri, mi conosceva perché ero il cantante di Ma quale idea. Entro, uno del suo staff gli fa: “Maurizio, sai che l’altro ieri D’Angiò ha presentato l’evento di fondazione dell’Ulivo?” E Gasparri: “Come sarebbe?”. Però fece chiamare il tale che mi ostacolava, il quale non mi ruppe più i coglioni.

Scusi, ma l’Ulivo?
Me l’aveva proposto uno dei massimi funzionari della Sipra, la pubblicitaria Rai. Ero perciò andato a Bologna. C’erano Prodi, D’Alema, tutto il gotha della sinistra. La mia presenza, non retribuita, fu di fatto inutile, quelli si presentavano da soli.

Con la politica ha rischiato spesso l’inciampo. Pure con la Dc.
Congresso a Firenze. Chiamo sul palco l’allora premier Giovanni Goria, l’inconscio mi fa dire: “Ecco a voi un leader inquietante”.

Poi dice che si fa nemici.
Massimo Boldi in teoria è un comico e dunque dovrebbe essere intelligente: non ha mai capito la giocosità degli antieroi delle mie canzoni. L’ho beccato più volte, a Canale 5 e in Rai, che parlottava indicandomi come se io fossi uno strafottente, che se la tira. Boldi l’ha sfangata per tutta la carriera con una sola battuta, a volume crescente: “Che dolore, che dolore, che dolore”.

Scarsa diplomazia, molta sincerità.
Fossi stato più furbo avrei ottenuto altri risultati. Alla fine degli anni Ottanta, a Londra, incrociai in uno show tv Boy George. Stavo ascoltando un mio inedito con il walkman. Se ne innamorò all’istante. Ne chiese una copia, gliela spedii. Me ne rimandò una versione inglese, tra strofa e inciso era diverso dal mio, insomma mi pareva una chiavica. Mentii: “Purtroppo l’ho già affidato a un cantante italiano”.

Le chance internazionali.
Sempre in Gran Bretagna incontrai Kid Creole. Gli parlai di un musical che avevo scritto, incentrato sull’immaginaria vicenda di George Gershwin che, consapevole di morire presto, regala tutti i suoi brani a Glenn Miller. Kid Creole restò folgorato dalla storia, mi disse di mandargli il copione in inglese. Però ero stanco, tradurlo sarebbe stata una faticaccia, la questione mi sembrava complicata. Alla fine il musical l’ho fatto, per un anno, con Nino Castelnuovo.

Una soluzione si trova.
Tutta la vita ho ripensato a quel che mi disse un celebre talent scout, uno che aveva scoperto anche Luigi Tenco. “Pino, tu non combinerai mai niente di buono”.

Oggi i giovani idoli pop si arrendono subito, denunciando disagio interiore e troppa pressione discografica.
Per fare due canzoni all’anno ci metti un’ora. Questi vogliono farci credere che l’artista sia uno sofferente che se ne sta nel suo antro finché non viene benedetto dall’ispirazione della Musa. Certi riempiono gli stadi dopo un pezzo in classifica, senza rendersi conto che i ragazzi ci vanno perché lo stadio è uno dei pochi luoghi dove puoi ancora socializzare.

Pino D’Angiò, lei chi è?
Mia madre diceva che ero un lanciatore di coriandoli. Se non mi fosse capitato questo mestiere sarei un grande fallito. O un idraulico.

Di Alessandro Ferrucci e Stefano Mannucci

Da FQ MillenniuM n. 77, Aprile 2024

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