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Vi racconto Vito Leccese, il militante ambientalista di tante battaglie che da Bari potrà rilanciare il campo largo

Ora che la lunghissima campagna elettorale per le elezioni comunali di Bari 2024 è finalmente terminata col trionfo del primo sindaco “verde” in una grande città del Sud, mi piace raccontarvi qualcosa di antico su Vito Leccese, di cui si ricorda più facilmente il recente e lunghissimo incarico di capo di gabinetto dei  suoi due predecessori, Michele Emiliano e Antonio Decaro.

L’ho conosciuto una sera di marzo del 1986 al centralissimo circolo della Legambiente  di Bari, all’epoca a due passi dalla stazione, per una riunione del comitato contro il megastadio. Erano i giorni in cui l’Italia del CAF (ricordate Craxi-Andreotti-Forlani?) iniziava a ubriacarsi nell’organizzazione dei Mondiali di calcio del 1990. E a Bari si progettava il nuovo stadio di Renzo Piano, oltre a tre nuove piazze di periferia, che sarebbero però state inaugurate l’anno successivo ai mondiali! 

Fra le associazioni ambientaliste che si opponevano alla faraonica costruzione del nuovo stadio, l’astronave progettata da Renzo Piano, c’era anche il circolo Legambiente in cui militava il 23enne Vito Leccese, consigliere comunale dei “Verdi-sole che ride”. Ci opponevamo perché eravamo per la riqualificazione e ampliamento del vecchio stadio, sapevamo che la costruzione di quel grande impianto sportivo avrebbe distrutto migliaia di olivi, nonché un discreto patrimonio di insediamenti rupestri, cosa puntualmente accaduta. Per non parlare delle varie indagini della magistratura sui costi enormemente lievitati, indagini che sarebbero proseguite per tutti gli anni novanta ma tutte puntualmente insabbiate.

Eravamo un manipolo di ambientalisti ad opporci, alcuni come Vito forse non sapevano nemmeno se il pallone fosse rotondo, altri, come me, invece frequentavano il vecchio stadio barese quasi ogni domenica. E fu per questo che una volta, lo confesso, dovetti fuggire alla chetichella da una porta secondaria del Comune mentre quasi tutti i consiglieri (compresi quelli del PCI) stavano approvando definitivamente l’appalto affidato al consorzio Stadium: erano infatti arrivati in consiglio i tifosi Ultrà del Bari con tanto di striscione e i nostri poveri cartelli mostrati dai banchi del pubblico fecero una brutta fine.  Ironia della sorte, oggi quei tifosi  del Bari si ritrovano un sindaco dal cognome legato proprio alla squadra  rivale di Lecce!

E fu probabilmente nel 1989 che proprio Vito Leccese noleggiò un piccolo aereo per sommergere coi nostri volantini i trentamila tifosi che affollavano il vecchio stadio durante una partita domenicale (e naturalmente fra i tifosi sommersi c’ero anch’io, che pure avevo partecipato alla stesura di quei volantini!). 

Vito Leccese fu confermato al consiglio comunale del 1990 e nominato assessore all’ambiente dal sindaco Enrico Dalfino, con cui gestì la terribile crisi creatasi in agosto 1991 con l’epico sbarco di oltre ventimila albanesi nel porto di Bari, il più grande mai avvenuto in Italia. Quei ventimila disperati furono condotti in un caldo infernale nel vecchio stadio della Vittoria (proprio quello appena sostituito dall’astronave di Renzo Piano), stadio che al sindaco dovette apparire tanto simile al terribile lager del dittatore cileno Pinochet, da vergognarsi a nome della città di Bari. Da Roma intervenne nientemeno che il picconatore Cossiga, presidente della Repubblica, fustigando duramente il povero sindaco barese. A fine 1991 Vito Leccese si dimise da assessore e in breve la giunta Dalfino cadde. Un anno drammatico per Bari quel 1991, anche perché il 27 ottobre andò in fumo il teatro Petruzzelli.

 Nel 1992 Vito finì in Parlamento e fu fra coloro che elessero il nuovo presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, pochi giorni dopo la strage di Capaci. E proprio da parlamentare lo incontrai dinanzi al teatro quel 27 ottobre del 1992, primo anniversario del rogo, prima di una grande manifestazione con Rifondazione Comunista, La Rete e naturalmente i Verdi. Memorabile la mia gaffe di quella sera. Sul manifesto campeggiavano i nomi di Garavini (Rifondazione Comunista), Orlando e Galasso (Rete), Rutelli e Pecoraro Scanio (Verdi) e a me sembrò strana l’assenza del nome di Leccese nel programma degli interventi , per cui chiesi a Vito “chi cavolo fosse sto Pecoraro Scanio” e lui, serafico, “Michele, ti presento l’On.le Alfonso Pecoraro Scanio”! 

Perché vi ho raccontato qualcosa del Vito Leccese del secolo scorso? Perché qualche mese fa, sempre su Globalist, ho scritto di come a Bari giovedì 4 aprile Giuseppe Conte aveva affondato il campo largo, negando la possibilità di celebrare le primarie tre giorni dopo fra i due candidati del centrosinistra.  E avevo ricordato di come a Bari era nata la cosiddetta “primavera pugliese” nel 2004, con l’elezione a sindaco di Michele Emiliano, in una città da sempre considerata feudo delle destre. Oggi il centrodestra è confinato a Bari al  minimo storico del 30%, ottenuto al ballottaggio dal candidato leghista Fabio Romito, uno che ha persino rinunciato a presentare il simbolo leghista in queste comunali.

Dopo mesi di divisioni fra due sinistre, Bari oggi col nuovo sindaco Vito Leccese e il suo 70%, può davvero rappresentare un nuovo inizio,  soprattutto se sarà in grado di recepire tutte le istanze del nuovo ambientalismo, quello capace di conservare l’anima delle antiche lotte contro il cemento delle grandi opere (come i grandi e troppi  centri commerciali di periferia che hanno desertificato i negozi della città) e di creare grandi polmoni di verde anche nelle periferie.  E poi far risorgere la partecipazione attiva dei cittadini, visto che l’affluenza al ballottaggio di Bari è stata fra le più basse d’Italia.  Quella partecipazione che sempre i nostri sindaci auspicano, ma che in rari casi favoriscono concretamente, accrescendo la distanza fra la politica e le persone.  Periferie e partecipazione sono le parole chiave per Bari, ma anche altrove, perché proprio da qui, dove il campo largo sembrava morto tre mesi fa, potrebbe nascere una prospettiva nuova per  il Paese, una prospettiva capace di sconfiggere  quel governo nazionale che cancella ogni giorno dei diritti e lo fa anche approfittando della scarsa attenzione del popolo.

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