Le lancette dell’orologio hanno iniziato a correre sempre più velocemente. Tra un anno, il 28 giugno del 2025, scatterà la piena applicazione del cosiddetto European Accessibility Act, la direttiva UE che obbliga i siti internet (a partire da quelli delle Pubbliche Amministrazioni) a seguire tutti i criteri previsti per rendere uniforme e universale l’accessibilità digitale. Molti utenti, infatti, a oggi non possono consultare e fruire di piattaforme e portali a causa di problematiche legate a una condizione di disabilità (per esempio quella visiva e uditiva, ma non solo). Ma a che punto è l’Italia con la corretta applicazione di queste norme basate su linee-guida note ormai da tempo?
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Facciamo una piccola premessa sulle leggi già presenti nel nostro tessuto normativo. L’Italia, infatti, ha approvato 20 anni fa la Legge numero 4 del 9 gennaio del 2004 – la cosiddetta “Legge Stanca”, dal nome del Ministro per le Innovazioni e le Tecnologie del governo Berlusconi II – che conteneva le “Disposizioni per favorire l’accesso dei soggetti disabili agli strumenti informatici”. Si parlava, dunque, di accessibilità digitale e tecnologie assistive per arrivare a una parità di accesso ai servizi informatici per tutti i cittadini sui portali della Pubblica Amministrazione.
Era, come detto, il 2004 e lo stesso testo della legge (entrata in vigore, nei suoi effetti, l’anno successivo) si spiegava come questa norma dovesse essere necessariamente aggiornata in continuazione, vista l’evoluzione tecnologica degli strumenti digitali messi a disposizione delle aziende (pubbliche e private) e dei cittadini. Una legge che da “Stanca” è diventata “stantia”, visto che gli interventi successivi sono arrivati solamente diversi anni dopo, con il recepimento di due direttive europee: la 2016/2102 e lo European Accessibility Act – (di cui parlammo già negli scorsi anni) – del 2019. E proprio i contenuti dello EEA vennero inseriti all’interno del Decreto Semplificazioni del 2020 – per aggiornare la cosiddetta “legge Stanca”, ampliando il perimetro d’azione e intervento non solamente ai portali delle PA, ma anche ai soggetti privati. Di fatto, dunque, l’accessibilità digitale – grazie alla spinta europea – è stata riconosciuta come un diritto inalienabile, come scritto all’articolo 9, comma 1, della Convezione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità:
«Al fine di consentire alle persone con disabilità di vivere in maniera indipendente e di partecipare pienamente a tutti gli aspetti della vita, gli Stati Parti adottano misure adeguate a garantire alle persone con disabilità, su base di uguaglianza con gli altri, l’accesso all’ambiente fisico, ai trasporti, all’informazione e alla comunicazione, compresi i sistemi e le tecnologie di informazione e comunicazione, e ad altre attrezzature e servizi aperti o forniti al pubblico, sia nelle aree urbane che in quelle rurali».
“Sistemi e tecnologie di informazione e comunicazione” non è altro che la sintesi di quella galassia di portali (legati alla Pubblica Amministrazione, ma anche di natura privata) presenti in rete.
Dunque, si torna al contenuto dello European Accessibility Act che pone le sue basi all’interno delle linee guida WCag2.1 in cui vengono specificati quattro settori di intervento per raggiungere l’accessibilità digitale. Un sito web accessibile a tutti, dunque, deve essere:
Molti di questi paletti non sono stati applicati a numerosi siti presenti nell’ecosistema internet. Dunque, la maggior parte dei portali non risultano essere – a oggi – accessibili a tutti. Ora manca meno di un anno all’entrata in pieno regime della direttiva europea, con delle linee guida che sono note da moltissimi anni.
Dunque, le norme ci sono. Ma sono applicate? Il monografico di oggi di Giornalettismo cercherà di dare una visione d’insieme della situazione, a poco meno di un anno dalla piena applicazione dello European Accessibility Act. Lo faremo raccogliendo anche il parere di Edoardo Arnello, CEO di AccessiWay Italia, l’azienda che si occupa del monitoraggio e delle soluzioni per rendere i siti web accessibili a tutte le persone, a prescindere dalla propria condizione. Ci sarà anche un focus sui siti di informazione, quelli che – al di là dei social network – sono i più visitati dai cittadini italiani. Anche perché, una ricerca di AdnKronos (di due anni fa) aveva messo in evidenza enormi problemi: il 97% dei siti internet non risulta essere accessibile a tutti.
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