La Grecia va controcorrente. Da luglio è in vigore la settimana lavorativa lunga, mentre in tutta Europa (e in tutto il mondo) si sperimenta e ci si avvicina a quella corta. Per i greci: turni su sei giorni a settimana, per 48 ore totali. La lunga cura di lacrime e sangue è iniziata quindici anni fa fare fronte alla crisi del debito e al salvataggio di Atene (con la famosa Troika) con miliardi di euro prestati, per evitare il default.E anche quest’ultima normativa rientra nella politica dell’acceleratore sulla crescita economica. Una “barbarie” secondo i sindacati dei lavoratori.
La nuova legge riguarda le imprese private che forniscono servizi 24 ore su 24. Il personale potrà scegliere se lavorare due ore in più al giorno o fare un turno in più, cioè il sesto della settimana. Alle 48 ore settimanali totali corrisponde un supplemento del 40% del salario giornaliero e del 115% se il “di più” ricade in un giorno festivo. La misura non si applica al turismo e alla ristorazione, dove la settimana lunga è già in vigore. Ad essere coinvolte sono dunque principalmente le aziende dell’industria, delle telecomunicazioni e del commercio al dettaglio.
La decisione, in nome dell’aumento della produttività, è giustificata dalla necessità di arginare la carenza ormai cronica di manodopera, che mette in crisi molti settori dell’economia greca. Il primo ministro ellenico Kyriakos Mitsotakisha definito una “bomba ad orologeria” il forte calo demografico. Da quando è scoppiata la crisi sono oltre 500mila i greci, in maggioranza giovani, che hanno lasciato il Paese. E la forza lavoro, soprattutto qualificata, manca. Tra le ragioni che il governo conservatore mette sul tavolo ci sono poi il dilagante problema del lavoro nero e degli straordinari non pagati. Infine,lei, la produttività, che secondo l’esecutivo la settimana lunga dovrebbe sostenere, contro il parere di diversi economisti. La Commissione Europea stima, infatti,che la produttività nominale del lavoro per ora lavorata in Grecia sia inferiore di circa il 40% rispetto alla media europea. E questo a fronte di un Paese tra i più stakanovisti. La Grecia, con 39,8 ore settimanali è il Paesi europeo in cui si lavora di più (dati Eurostat). A seguire Romania (39,5), Polonia (39,3) e Bulgaria (39,0). Dalla parte opposta ci sono Paesi Bassi (32,2 ore), Austria (33,6) e Germania (34,0). L’Italia è a metà, con 36,1 ore settimanali. Quindi i greci lavorano tanto, ma la produttività non va di pari passo al numero di ore, così come agli stipendi (reddito annuo medio di 10mila euro contro i 22mila della media europea). Ecco che i sindacati insorgono: “Una migliore produttività si accompagna a migliori condizioni di lavoro, a una migliore qualità della vita (per i dipendenti) e questo, lo sappiamo, significa meno ore, non di più. Non ha alcun senso. Quando quasi tutti gli altri Paesi civilizzati stanno adottando una settimana di quattro giorni, la Grecia decide di andare nella direzione opposta” ha dichiarato Akis Sotiropoulos, del sindacato dei dipendenti pubblici Adedy.
Ma a quasi 15 anni dalla crisi storica come sta davvero la Grecia? Lo scorso anno il PIL è cresciuto del 2% e per il 2024 le previsioni sono di + 3% (quasi ai numeri pre 2009), ben oltre lo 0,8% dell’eurozona. Inoltre, nel 2025 il debito pubblico dovrebbe contrarsi raggiungendo i livelli simili all’Italia. Atene ha da poco annunciato che prevede di rimborsare quest’anno, in anticipo, 8 miliardi di eurodi prestiti di salvataggio. A quel punto saranno circa 20 i miliardi di euro rimborsati in questi anni, prima del previsto.
Un’economia che cresce e che ha superato la crisi del 2009 in parte, ma un Paese con problemi strutturali e con profonde diseguaglianze sociali, proprio a causa di quel default scampato con conseguenze pesantissime negli anni. La disoccupazione è ancora oltre il 10% (il massimo è stato il 28,2% nel 2013) e gli stipendi sono ancora molto bassi. Un quarto dei cittadini è a rischio povertà. Ora la settimana lunga come mezzo per spingere la crescita. Il tempo dirà se la ragione è dalla parte di Atene o della gran parte del resto di Europa e del Mondo.