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Reggiseno addio: cos’è il movimento No Bra e perché è un cambiamento culturale (più che di costume)

Chiedete a qualsiasi donna qual è la prima cosa che fa appena rientrata a casa. Molto probabilmente vi dirà che si slaccia il reggiseno. O che lo tira dall’altra parte della stanza. Croce e delizia dell’abbigliamento femminile, il reggiseno vive di grandi contraddizioni: un po’ nasconde, un po’ richiama lo sguardo. Un po’ esalta, un po’ costringe il corpo. C’è chi lo indossa perché deve (ma ne farebbe volentieri a meno) e chi lo trova un alleato per sentirsi più sexy, sicura e a proprio agio.

Guardatevi intorno: sempre più donne hanno smesso di indossare il reggiseno sotto i vestiti. Succede sulle passerelle, sui red carpet, in strada e nei locali, tanto che il fenomeno ha preso un nome: No Bra (letteralmente: niente reggiseno). Fino a pochi anni fa nessuno si sarebbe sognato di metterne il discussione l’utilizzo: il reggipetto, come si diceva una volta, si metteva dalla pubertà fino alla tomba. Fine della storia. Oggi invece il No Bra detta la linea ed è molto più che una semplice tendenza di moda.

Dalle femministe ai social: come è nato il No Bra
Anche se può sembrare un fenomeno recente, la moda in realtà ha liberato i seni oltre mezzo secolo fa. Alla fine degli anni Sessanta, Yves Saint Laurent lanciò il Nude Look: le trasparenze non lasciavano dubbi al fatto che coppe e brassiere fossero ormai superate. La tendenza fu cavalcata negli anni Settanta, prima che l’invenzione del wonderbra e il ritorno delle coppe a punta spingessero le donne a usare lingerie sempre più rigida e performante. L’imperativo, all’alba del nuovo millennio, era chiaro: più grandi sono, meglio è.

Attenzione: la fortuna del reggiseno non è solo una storia di costume, o di tendenza. È una storia politica. Alla fine degli anni Sessanta, alcune femministe del New Jersey si sfilarono pubblicamente i reggiseni e li buttarono in un cestino: prese piede la leggenda (falsa) delle femministe che “bruciano i reggiseni” come liberazione da una forma di oppressione. Non c’è un’altra parte del corpo capace di dare scandalo e alimentare dibattiti come il seno. Per anni lo abbiamo visto ovunque, su ogni cartellone pubblicitario o programma televisivo, associato alla vendita di qualsiasi cosa: auto, mozzarelle, birre. Ma guai alle donne che vogliono mostrarlo di loro spontanea volontà, per allattare in pubblico – Dio non voglia – o lasciandone intravedere i capezzoli. I corpi femminili hanno dovuto fare i conti anche con gli algoritmi social, allenati a censurare automaticamente i capezzoli femminili (ma non quelli maschili). Per questo, nel 2012, ha preso forza il movimento Free the Nipple che ricordava al mondo che anche sui corpi e coi corpi si combatte la parità di genere.

Il lockdown e la riscoperta della comodità
Ma l’evento che ci ha fatto cambiare – forse definitivamente – il modo in cui guardiamo al seno è stato il lockdown. Costrette a casa durante la pandemia di Covid-19, senza nessun dress code da rispettare, ci siamo riappropriati della comodità: addio giacca, benvenuta tuta. Non è un caso che ciabatte Crocs, Birkenstock e stivaletti Ugg abbiano vissuto un momento di gloria, mentre le vendite di cravatte e scarpe col tacco colavano a picco.

Mentre cercavamo una nuova normalità tra videocall e divano, i reggiseni sono rimasti chiusi nel cassetto. Con grande sollievo perché, diciamoci la verità, la maggior parte della biancheria non sta bene né a chi ha un seno molto grande, né a chi ha un seno molto piccolo. Stringe, segna, imbriglia, si solleva. Al momento di tornare in ufficio, quindi, molte donne si sono trovate davanti allo specchio a chiedersi: ma io perché lo metto ogni giorno? Posso farne a meno?

Questa domanda se ne porta dietro altre, molto più spinose: indossare il reggiseno sotto ai vestiti è una forma di obbligo sociale o è una necessità? Non raggiungeremo mai la parità di genere sul topless, vero? Vanessa Friedman, decana di moda del New York Times, ha provato a rispondere in un editoriale dal titolo: “Quali sono le regole sull’uscire senza reggiseno?”

Il desiderio di liberare il corpo
Intanto il No Bra prende sempre più piede. Ormai non c’è tappeto rosso senza almeno un seno in trasparenza. L’attrice Florence Pugh è stata duramente criticata per gli abiti vedo-non-vedo-anzi-vedo-tutto. Così come sono state prese di mira foto di Chiara Ferragni o di Aurora Ramazzotti per l’ombra dei capezzoli accennata sotto ai vestiti. Gillian Anderson, attrice di The Crown e Sex Education, ha detto di non voler più indossare un reggiseno in vita sua: “Non mi importa se i seni raggiungono l’ombelico, è scomodo”.

Ma il movimento No Bra non è solo una stravaganza da vip. Si è radicato in ogni luogo della vita quotidiana, specialmente tra le ragazze più giovani. Le motivazioni hanno poco a che fare con la moda, e molto con l’esigenza di riprendersi il proprio corpo e smettere di vestirsi per assecondare lo sguardo maschile o le imposizioni sociali. Per molte, è una questione di equità, la libertà di infilarsi una t-shirt sui jeans come fanno gli uomini. Anche se le forme del corpo, sotto, sono diverse.

Basta seguire l’hashtag #nobra su TikTok per capirne la portata. E per rendersi conto che le ragazze si sentiranno anche pronte a lasciar libero il corpo, ma la società ancora no: fischi, catcalling e commenti social sono lì per dimostrarlo. Non parliamo del topless nudo e crudo, ma solo della scelta di rinunciare al ferretto sotto a magliette e camicie. La content creator Rachel Levin è diventata virale per aver tagliato la testa al toro: “Sto mettendo in mostra le tette o semplicemente esistono?”

Le critiche al movimento No Bra
Comunque, il No Bra non è per tutte. Viene criticato per non essere affatto inclusivo: è più facile rinunciare alla lingerie se si ha un seno piccolo, docile, facile da nascondere sotto agli abiti. La tendenza No Bra tiene banco in passerella, ma solo tra modelle dai rassicuranti corpi esili: la sfilata Autunno/Inverno 2024-25 di Saint Laurent, un tripudio di abiti trasparenti e di seni in vista, ne è la prova.

C’è anche chi poi anche chi, genuinamente, non vuole rinunciare al reggiseno perché è comodo e può far sentire bene indossarlo. Non esiste una specifica ragione medica per indossare coppe e bretelline, ma indubbiamente alleggeriscono lo sforzo della schiena in caso di seni grandi e aiuta a muoversi liberamente, specialmente durante lo sport. Specialmente ora che in commercio esistono alternative in grado di adattarsi a tutti i corpi. È impossibile tracciare una linea che valga per tutte e delimiti in modo netto quando mettere il reggiseno e quando no: dipende dall’occasione, dalla formalità del luogo, da quanto siamo a nostro agio, da come vogliamo presentarci al mondo. Una serata tra amici non è equiparabile a una riunione di lavoro. Semmai, il vero risultato ottenuto dal movimento No Bra è l’aver ampliato la libertà di scelta: così come i tacchi a spillo, anche il reggiseno dev’essere una scelta. Da adottare, o meno, a seconda dei corpi, del contesto, delle esigenze personali. Non più un obbligo.

L'articolo Reggiseno addio: cos’è il movimento No Bra e perché è un cambiamento culturale (più che di costume) proviene da Il Fatto Quotidiano.

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