«È vero, parlo poco. Perché sono uno che non ama i proclami. Ma non mi nascondo: l’ultimo campionato è stato deludente e abbiamo sbagliato molto. Io per primo».
Non male per uno accusato – vox populi – di non metterci la faccia. I seggiolini fanno da sfondo a Gino Pozzo che per due ore ha raccontato l’Udinese da uno degli Sky Box del Bluenergy Stadium. Non male neppure questo, considerando la premessa.
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«Lo faccio perché voglio garantire l’impegno per la nostra Udinese: siamo una società familiare con forti radici nel territorio, come il vostro giornale», chiarisce davanti ai vice direttori del Gruppo Nem Paolo Mosanghini e Giancarlo Padovan, con il direttore generale del club, Franco Collavino.
Chi se lo immagina sbrigativo, superficiale e propenso ad allungare lo zuccherino per evitare scocciature si sbaglia di grosso. Pozzo junior ha spiegato, si è dilungato, non ha evitato o dribblato domande.
Cominciamo allora dalla salvezza ottenuta sul filo di lana a Frosinone, il momento più difficile dal punto di vista sportivo da 30 anni a questa parte. Mai pensato che squadra del “bip” ho fatto?
«Nel corso degli ultimi mesi di campionato sono rimasto spesso qui, accanto alla squadra. Ma mi rendevo conto di essere quasi impotente: non riuscivo a incidere, segno evidente che l’errore commesso era a monte. Non eravamo riusciti a trasformare un gruppo in una squadra. Vedevo dei giocatori a volte spaesati. Altre non inseriti nel nostro contesto. Non deve più accadere. Nel finale siamo stati bravi a trovare dei punti di riferimento, lì è stato abile Cannavaro e ho apprezzato davvero l’unione che si è creata in quei giorni. L’ambiente. I tifosi tutti».
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Non possiamo sorvolare però sulle critiche anche feroci nei suoi confronti. Alla fine ha ricevuto più di qualche coro dedicato, tutt’altro che di apprezzamento...
«Non abbiamo fornito uno spettacolo all’altezza. I tifosi hanno il diritto di manifestare il proprio malcontento. Abbiamo sbagliato, ho sbagliato, giusto ricevere delle critiche, anche se non è piacevole».
Spesso in quei frangenti emergevano due volti dell’Udinese: quella di papà Gianpaolo e quella di Gino, bravo ad alimentare il circolo virtuoso del club scovando talenti e vendendoli, ma indifferente al risultato: mai venuta la voglia di vincere?
«Ci avviamo verso i trent’anni consecutivi in Serie A, abbiamo alle spalle 11 presenze nelle coppe eppure sapete cosa vi dico? Che è passato troppo tempo dall’ultima partecipazione europea, che ne abbiamo fatti anche troppi di “anni zero”. Da questo punto di vista non posso essere soddisfatto. Come non sono soddisfatti di questo i nostri tifosi».
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Come fare per cambiare rotta? Perché una società come l’Atalanta riesce a vedere e vincere? A Bergamo investono di più?
«Bisogna fare i complimenti all’Atalanta, ma anche sottolineare che noi siamo stati i primi a trovare una strada diversa, fatta di valorizzazione dei talenti coniugata con i risultati. Poi ci siamo persi, mentre loro hanno trovato una guida tecnica come Gasperini che ha saputo esaltare il progetto. Il resto l’ha fatto lo scenario: ora ci sono dei ricavi maggiori a livello di premi per le partecipazioni alle coppe, quando era il nostro turno incassavamo davvero poco».
L’Atalanta è agganciata a un fondo Usa. Arrivasse un signore arabo con la kefiah o un americano con 2-300 milioni di euro in mano l’Udinese passerebbe di mano?
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«Le voci le avete sentite anche voi, il mondo del calcio è cambiato: da quando siamo entrati in questo mondo il panorama è diverso, sono sempre meno ormai le famiglie italiane proprietarie di un club di Serie A. Io posso solo aggiungere, tuttavia, che queste voci spesso sono tutt’altro che concrete. Perciò vi dico che questa società può andare avanti con le proprie gambe».
In questo quadro l’Udinese continuerà ad essere legata al Watford?
«Sì, e anche in questo caso mi sembra che la nostra proprietà abbia anticipato quello che sta succedendo in tutta Europa. Le sinergie vengono cercate e sfruttate anche da top club. Per quanto riguarda quella tra Udinese e Watford, bisogna dire che ha portato a risultati apprezzabili. Qui è arrivato un Deulofeu che difficilmente avrebbe giocato a Udine senza la collaborazione di un club inglese. Nell’ultimo anno è approdato Okoye...».
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Anche dei giocatori tutt’altro che esaltanti.
«Però mi avete rifilato anche Pussetto... Sto scherzando, ho letto anche io che a volte i tifosi dicono che mi parlo davanti allo specchio per offrirmi dei giocatori che passano dal Watford all’Udinese e viceversa. E su alcuni arrivati ultimamente in Friuli devo dire che non tutte le ciambelle riescono con il buco».
Giorni fa c’era uno striscione fuori dallo stadio: niente più abbonamenti a scatola chiusa. Ci convinca a comprarne uno .
«Io lavoro per soddisfare mio padre, un grande appassionato, la mia famiglia e la nostra gente. Perché l’Udinese è legata al Friuli. Vorrei ambizione, concetti calcistici di qualità, lavoro e rispetto per la maglia. Ho fatto così una scelta di discontinuità: Runjaic è un tecnico che può darci un’impronta diversa, più europea, meno attendista. Mi sono stufato di vedere l’Udinese difendere a 5 e incapace di fare possesso palla. Sceglieremo dei giocatori per questa filosofia. Poi se sbaglierò mi criticherete».
Guarda verso il campo, Gino Pozzo. E si rivolge al dg Collavino, lì accanto. «Bello questo stadio, ma da quando lo abbiamo rifatto non siamo mai stati in Europa».
Così diventa davvero il primo dei 21.547 tifosi che di media quest’anno hanno occupato le tribune del Bluenergy Stadium.
