Fuori luogo e noiosamente retorico. Una comunicazione fallimentare e inadeguata, soprattutto per il ruolo ricoperto. Demiurgo e visionario: questa volta, fin troppo. Luciano Spalletti viene tradito da sé stesso. Parlare per immagini questa volta, è servito a ben poco: conferenze stampa ai limiti del teatrale. Tante parole, poca sostanza. Alla ricerca continua dell’alibi: Spalletti si prende le sue responsabilità dopo la sconfitta contro la Svizzera, ma senza mai pronunciare la parola “scusa”. Sui campi di Euro 2024 l’Italia si è fatta riconoscere più per le parole che per il gioco espresso. L’errore, però, nasce prima: un metodo da “sergente” a Coverciano che non funziona. Le proibizioni e i comandamenti: così Luciano Spalletti è caduto nel cringe. Una mancata comunicazione che non gli ha permesso di costruire attorno a sé un gruppo.
Una retorica stucchevole
“Per loro noi siamo degli eroi, dei giganti, dobbiamo crearci questa corteccia, questa scocca del calciatore che non soffre ambientazioni, livelli di tornei, importanza di partite, dobbiamo andare lì e far vedere che i giganti e gli eroi non hanno timore di giocarsi una partita di calcio”. Predicatore (nel deserto) immaginifico, oltre i limiti. Spalletti ha sempre amato parlare per metafore e similitudini: quella che è stata la sua forza nel corso della carriera, con l’Italia si sta dimostrando la sua più grande debolezza. Una retorica superata e stucchevole, soprattutto quando si parla di patria. Esteta del gioco e della comunicazione: concetti fluidi e astratti come il suo modo di parlare. In nazionale contano i risultati, non la filosofia.
“Siamo tutti numeri 10”, i comandamenti e la playstation
Principi e regole diventati un comandamento da seguire. Luciano Spalletti ha provato a vestire i panni di comandante e condottiero senza riuscirci. Concetti e imposizioni che hanno creato disagio e smarrimento. L’evitabile quanto imbarazzante maglia “Siamo tutti numeri 10” è l’esempio lampante di una comunicazione che non funziona più. Un gruppo di giovani ragazzi che non è diventato squadra, memori di quelle “Notti magiche” diventati “tragiche”. Spalletti ha preferito proibire l’utilizzo della Playstation dimenticandosi, però, di tutto il resto. Per esempio di difendere un gruppo: anzi, alla fine proprio i giocatori diventano il primo alibi per la sconfitta.
Troppi alibi, zero scuse
“Più di così non possiamo fare“; “Gli allenatori precedenti hanno tutti avuto venti partite per fare prove e conoscerli, qualche partita in più mi poteva aiutare”. Allusioni al passato che non nobilitano la figura di Luciano Spalletti. Anzi, il ct dimostra poca onestà intellettuale. Emozioni che prendono il sopravvento sulla razionalità e sulla mancata compostezza che dovrebbe appartenere a un commissario tecnico. La conferenza stampa diventa il suo campo “da battaglia” preferito: poca autocritica e gestualità irrisorie. “Cercheremo di fare meglio la prossima volta, visto che non siamo riusciti a mettervi in difficoltà. Come si chiama lei?“. Pollici alzati, sorrisetti nervosi (e di sfida) e supercazzole sono lo specchio di una mancata serenità. “Ma che domanda è se tu vai fuori? Ma che ho paura? Altrimenti venivo come voi a vedere le partite e facevo un altro lavoro”. Un intensificarsi della voce in certe occasioni che alimentano l’incertezza e i dubbi di queste settimane. Un’autodifesa esasperata, come se ci fosse qualcuno a puntargli la pistola sulle tempie: sempre alla ricerca di un nemico (immaginario) da abbattere, cercando lo scontro anche quando non è necessario.
Tanta, troppa confusione per poter cercare di essere credibili. Allenare una nazionale non è come farlo in un club. Poco tempo, tante aspettative e una pressione mediatica che impone di essere equilibrati e razionali, soprattutto quando arrivano le critiche. Forse, è proprio quando vengono cambiate così tante idee in così pochi giorni che, in realtà, non se ne ha nemmeno una. L’Italia e Luciano Spalletti perdono, sotto tutti i punti di vista. Un’identità smarrita tra alibi, inadeguatezza e retorica stucchevole. Modi e (non) ammissioni di colpe completamente sbagliati. Per una caduta di stile “cringe” che non appartiene a questa nazionale.
L'articolo Il fallimento (anche) comunicativo del predicatore Spalletti: tra cringe e alibi, così non ha saputo costruire un gruppo proviene da Il Fatto Quotidiano.