BELGRADO Apertura a non meglio precisati «compromessi» con il Kosovo, ma certamente non si contempla il riconoscimento. E poi l’economia prima di tutto – forse ancor prima dei legami storici con la Russia – e infine una nuova conferma sul fronte del litio, preziosa risorsa che la Serbia non intende lasciare nel sottosuolo, malgrado potenziali nuove massicce proteste di piazza.
Sono i tre perni del programma del neo-premier serbo, Milos Vučević, salito al potere dopo il trionfo elettorale del Partito progressista del presidente Vučić alle elezioni del dicembre scorso. Vučević che ha voluto fare il punto, parlando con l’agenzia France-Presse, su cosa attendersi da Belgrado nei prossimi mesi e anni, chiarendo la linea su alcune delle questioni più delicate. Fra queste c’è sicuramente il Kosovo, “nodo” che l’Occidente vuole sciogliere quanto prima, costringendo Belgrado e Pristina a siglare un accordo di normalizzazione dei rapporti bilaterali, che alcune potenze – come la Germania – desiderano includa un mutuo riconoscimento. Ma di riconoscimento, a Belgrado, non si vuol sentir parlare. Si può tuttavia immaginare qualche soluzione meno traumatica per la Serbia, che anche in Costituzione continua a considerare il Kosovo parte integrante del suo territorio.
«Siamo pronti a fare accordi e compromessi», ha così assicurato Vučević all’Afp, chiudendo però implicitamente le porte al riconoscimento di Pristina. Alla fine del dialogo «non può esserci una parte che è assolutamente vincitrice» e un’altra che conclude il processo «come perdente assoluta», ha ammonito l’ex ministro della Difesa e già sindaco di Novi Sad, scelto come nuovo primo ministro al posto di Ana Brnabic e fedelissimo di quel Vučić che rimane il deus ex machina della politica del Paese balcanico. Ogni altra soluzione «non può e non potrà avere una sostenibilità a lungo termine», ha poi ammonito Vučević. Belgrado che non ha solo il Kosovo nella lista delle priorità. La Serbia rimane infatti contraria all’imposizione di sanzioni contro lo storico alleato russo, ma recenti rivelazioni del Financial Times hanno suggerito comunque un cambio di rotta drastico, con 800 milioni di euro di munizioni serbe “triangolate” via Occidente in Ucraina. Però «non si tratta di un contributo serbo a una delle parti belligeranti», ha giurato il premier serbo, che ha poi tuttavia puntualizzato – seguendo la linea Vučić – di difendere a spada tratta le mosse dell’industria bellica nazionale. «Non voglio impedire ad aziende di vendere le nostre munizioni a Spagna, Cechia, Stati Uniti, perché non è proibito e non è immorale per noi produrle». Anche se quelle munizioni poi «sfortunatamente vengono anche usate dove c’è una guerra». Come in Ucraina.
Infine, il terzo punto, caldissimo dal punto di vista interno. Sono le voci, ormai sempre più forti, che parlano di un revival del controverso “Progetto Jadar”, per l’estrazione del litio da parte del colosso Rio Tinto. «Non permetteremo a nessuno di distruggere i fiumi, i campi, i laghi, le foreste», ha promesso Vučević. Ma Belgrado «non rinuncerà» neppure «a qualcosa», l’oro bianco, «che potrebbe essere il motore dello sviluppo futuro del Paese».—
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