LIGNANO. «Alla fotografia servono occhi nuovi» è il pensiero-filosofia di Francesco Finotto, urbanista di San Donà di Piave e vincitore del Premio Hemingway per il suo fotolibro “Notte a Nord-Est. Le fabbriche in scena”.
«È l’unico concorso nazionale, dice, che gratifica questo genere d’arte. Ne sono fiero e mi complimento con l’organizzazione per l’instancabile ricerca di scatti non usuali».
La consegna del riconoscimento avverrà sabato 29 giugno al Cinecity di Sabbiadoro, dalle 19.45. In scena anche gli altri trionfatori della quarantesima edizione, sostenuta come sempre da pordenonelegge e presieduta da Alberto Garlini. Ma l’incontro con Finotto protagonista è programmato per giovedì 27 giugno, alle 20, al Kursaal di Lignano in dialogo con Italo Zannier.
Anche Ernest Hemingway se la cavava piuttosto bene con la macchina fotografica, concorda?
«Certamente, è risaputo. Lui, però, è passato alla storia per ben altri meriti, eppure, questa pratica gli era congeniale».
Quale genere di rapporto letterario intercorre fra lei e lo scrittore americano?
«Ho attraversato con piacere alcuni dei suoi percorsi narrativi come “Per chi suona la campana”, naturalmente “Fiesta”, e “Il vecchio e il mare”. Conosco, fra l’altro, piuttosto bene i luoghi in Italia dove questo poliedrico personaggio soggiornò nelle sue continue scorribande per il mondo».
L’urbanista, di preciso, come si muove sul territorio?
«Ci occupiamo di città e di campagne studiando i meccanismi più adatti per possibili trasformazioni, valutando ciò che sarebbe bene tenere e ciò che andrebbe eliminato. Ragioniamo sulle grandi infrastrutture, di ambienti e di case. La definirei una disciplina trasversale».
Lei è autore di “Città aperta” e di “Città chiusa”: ha un credo riguardo la formazione ideale di centri urbani?
«Mi sono occupato parecchio di teoria dell’urbanistica. Noi italiani abbiamo una straordinaria tradizione urbana, di innovazione e di libertà. La città, ormai, non è più il progetto di una sola mano d’architetto, che è molto attento all’estetica, bensì un concetto che racchiude le convinzioni di tutti, a partire dai cittadini stessi. Prendiamo Lignano. Sabbiadoro è stato il primo insediamento, poi è toccato a Pineta e a Riviera. In quegli anni le grandi intuizioni di Marcello D’Olivo e di Luigi Piccinato furono talmente azzeccate da non rendere necessari altri interventi. Si tratta di casi rari. Nella mia idea di città, comunque, ci deve essere posto per tutti».
A questo punto sfogliamo il suo libro “Notti a Nord-Est. Le fabbriche in scena”. E siamo curiosi di scoprire la genesi di una singolare passeggiata tra le grandi manifatture di un Veneto a forte spinta industriale.
«Non da molto è a trazione industriale, in verità, come dice lei. Noi lo diamo per scontato, ma fino a un paio di generazioni fa il Veneto era rurale per passare, poi, da Tre Venezie a Nord Est grazie al vigore degli stabilimenti. Ricordiamo l’Arsenale di Venezia che è stata la prima fabbrica moderna. Questo accadimento, e intendo l’industrializzazione, è stato sempre percepito come un evento storico di sottordine. Anzi, tutto quel cemento lo si accusava di aver deturpato il paesaggio, associando la metamorfosi a una riduzione della complessità paesaggistica. Ecco, tutto ciò ha agito da stimolo per una lunga mia visita laddove gli sguardi della gente si posano un po’ meno».
Lei scrive a proposito della dinamica del suo piano editoriale: «Seguendo l’istinto più che un progetto chiaro».
«Esattamente. All’inizio osservavo con la curiosità di chi ha in mente qualcosa. La foto notturna ha preso il sopravvento. In quelle condizioni, davvero, nessuno va lì apposta per cercare emozioni visive, Ho deciso, quindi, di inserirle io nel libro. Nulla di nuovo, ne sono conscio, già negli anni Trenta ci pensò Brassaï a inquadrare le suggestioni notturne».
A quali tecniche si è affidato?
«Fotografia digitale manuale con lunghe pose dai trenta secondi ai quattro minuti. Ci vuole la pazienza del pescatore per questo mestiere specifico».
Lei è uno di quelli che aggiusta le foto in post produzione?
«Ciò che serve. Nulla di più. Le noccioline tostate sono più saporite di quelle al naturale, non trova? Vale lo stesso per il mio modo di fotografare».