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Israele e la resistenza antifascista

Israele, è anche una resistenza antifascista. Lo rimarcano, su Haaretz, i professori David Ohanaa e Oded Heilbronner, due eminenze accademiche nel campo degli studi sul nazifascismo.

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Israele, è anche una resistenza antifascista.

Lo rimarcano, su Haaretz, i professori David Ohanaa e Oded Heilbronner, due eminenze accademiche nel campo degli studi sul nazifascismo.

Rivoluzione conservatrice

Annotano gli autori: “Dal punto di vista ideologico, in Israele è in corso una rivoluzione conservatrice, sopra e sotto la superficie, portata avanti sulle ali del “Bibi-ismo” e basata sullo Shalem College, che ha le sue origini nel conservatorismo americano.

Si basa anche sul movimento Im Tirtzu – uno dei cui fondatori, Ronen Shoval, è stato influenzato dai romantici tedeschi, considerati i precursori del fascismo tedesco – un movimento descritto dall’ex deputato del Likud Benny Begin come avente “elementi fascisti” nella sua campagna, e da Zeev Sternhell come “non peggiore del fascismo, è solo questo, più o meno”. Questa rivoluzione conservatrice è sostenuta anche dal Kohelet Policy Forum, promotore della legge sullo Stato nazionale israeliano, e dal libertario Tikvah Fund, che ha sviluppato la “riforma giudiziaria” e che incoraggia un falso senso di unità nazionale.

Non c’è da stupirsi che l’intellettuale di punta di questi ambienti sia un colono ideologico, Micah Goodman, laureato alla yeshiva, che viene presentato come un “intellettuale pubblico” moderato, mentre dietro l’idea che predica di un “restringimento del conflitto”, si nasconde una fortificazione fraudolenta della Grande Terra di Israele.

Ci sono differenze, naturalmente. È impossibile comprendere la caduta della Repubblica di Weimar senza il contesto della sconfitta nella Prima Guerra Mondiale e delle sue dure conseguenze, tra cui il colpo di Stato bolscevico che minacciò la Germania, gli assassinii politici, i Freikorps (“reggimenti liberi”) e le violente rivoluzioni a destra e a sinistra – niente di tutto ciò è presente in Israele. Né Israele sta vivendo il tipo di inflazione distruttiva e di grave crisi economica che la Germania ha sperimentato negli anni Venti. Come ha dimostrato lo storico Walter Struve nel suo libro “Elites Against Democracy” (Princeton, 1973), le élite conservatrici in Germania si opposero al regime di Weimar o furono indifferenti al suo destino. Qui, invece, la maggior parte delle élite è identificata come liberale e viene accusata di “rubare lo Stato con l’aiuto della Corte Suprema”.

Va sottolineato che, a differenza di quanto accadeva negli anni Venti nell’Europa centrale, meridionale e orientale, la democrazia israeliana è ancora forte, ma potrebbe non durare per sempre. 

Rispetto alle democrazie europee cadute sotto i colpi del fascismo e del nazismo negli anni ’20 e ’30, le organizzazioni della società civile israeliana, il settore professionale del servizio pubblico e del governo agiscono, date le circostanze, con integrità e fedeltà ai principi democratici, anche se sono apparse delle crepe nella loro condotta e nel loro impegno per la democrazia.

Tuttavia, in diversi epicentri della società israeliana si possono riconoscere tendenze prefasciste e populiste. Innanzitutto, c’è un partito al governo che include nella sua base di sostegno elementi prefascisti. Il Prof. Menachem Mautner ha recentemente sostenuto che i gruppi diseredati che compongono questa base sono alienati dalle società liberal-civiche, perché queste ultime hanno adottato una politica economico-sociale neoliberale e a causa degli accordi di “capitolazione” della “sinistra” con il nemico (Iyunei Mishpat, 45, 2021), che hanno dato origine a una profonda ostilità verso le “élite di sinistra”.

A un passo da un leader fascista

A capo di questa ideologia nazionalista e di questa filosofia storica che impone un “Israele eterno” (“Netzah Yisrael”) e comporta il rifiuto di riconoscere la legittimità del “nemico” c’è un leader populista, carismatico, propagandista e autoritario – Benjamin Netanyahu – che è a un passo dal diventare un leader fascista. Non c’è da stupirsi che leader neofascisti o autoritari-populisti, come Donald Trump negli Stati Uniti, Narendra Modi in India e Viktor Orbán in Ungheria siano il suo quadro di riferimento e rappresentino analogie adeguate per il suo tipo di leadership.

Ciò che accomuna tutti questi leader è, tra le altre cose, il cinismo politico. L’atto politico che perseguiterà Netanyahu nella coscienza storica è il suo affidarsi a un sostenitore di Kahane come Itamar Ben-Gvir, una figura fascista a tutti gli effetti, per rafforzare il suo governo. Il cinismo è evidente anche nella corsa all’ospedale di Netanyahu per una visita davanti alle telecamere ai quattro ostaggi liberati sabato dall’esercito israeliano, sebbene non abbia mai chiamato le famiglie degli ostaggi nemmeno una volta dal 7 ottobre.

Il costante stato di guerra a cui Israele è sottoposto può fornire a Netanyahu il tipo di poteri di emergenza che ha utilizzato durante la pandemia, quando ha approvato leggi di emergenza draconiane e senza precedenti (senza precedenti in nessuna democrazia occidentale, e approvate senza le dovute critiche). Questo, oltre al massiccio reclutamento nazionale, al trasferimento di intere popolazioni dal nord e dal sud di Israele e alla loro trasformazione in rifugiati, al trasferimento dei palestinesi oltre il confine, alle dichiarazioni dei membri della coalizione sul “diritto al ritorno” nelle “regioni della patria” a Gaza, all’isolamento internazionale che ricorda la frase biblica “il popolo abiterà da solo” e al tentativo di colpo di Stato giudiziario-costituzionale, che è ancora una minaccia – tutto questo indica tendenze fasciste mescolate al populismo e al nazional-socialismo.

Queste tendenze si aggiungono ad altre preoccupanti e crescenti nella società israeliana. Siamo di fronte a una combinazione di crisi sociali, costituzionali e di sicurezza – la peggiore che Israele abbia mai vissuto dalla sua nascita. Disordini tra molte classi a causa dell’instabilità politica; proteste di massa che, in determinate circostanze, potrebbero sfociare in una guerra civile e che fanno parte di una protesta continua che indica una perdita di fiducia da parte dell’opinione pubblica nel sistema politico; l’ascesa dei social media come arena pubblica violenta che sostituisce i media tradizionali che implicavano redazione, gerarchia e responsabilità; l’ascesa vertiginosa del populismo e il declino del liberalismo, che hanno a che fare con l’instabilità e i processi globali; l’esistenza e persino la crescita di un blocco di destra radicale, prefascista, basato sulla fede e anti-liberale. Sono tutti indicatori che preannunciano un uragano in arrivo che minaccia di distruggere tutto ciò che di buono c’è in Israele.

Ecco tre esempi della scorsa settimana: l’appello di 39 organismi studenteschi, membri dell’Unione Nazionale degli Studenti Israeliani, a sostegno di una proposta di legge che consentirebbe il licenziamento dei membri della facoltà che negano “l’esistenza di Israele come ebreo e democratico” (espressione di una posizione distorta, una continuazione della violenza di Tzachi Hanegbi e Israel Katz nell’unione studentesca di Gerusalemme, oltre 45 anni fa). Un altro esempio è la richiesta di Nadav Haetzni di aprire un procedimento legale contro persone del mondo accademico, dei media e della magistratura, in conformità con l’articolo 103 del codice penale, che vieta la “propaganda disfattista”, e con l’articolo 99, che vieta di “dare aiuto al nemico in tempo di guerra”. A questi si aggiunge l’annuncio del sindaco di Haifa, Yona Yahav, che le manifestazioni contro la guerra non devono avere luogo nella sua città. Questi sono solo tre esempi della corruzione morale, un segno delle cose che verranno. E cosa ci riserverà il domani?

Una discussione contemporanea sul fascismo europeo della prima metà del XX secolo non può ignorare l’attuale situazione politica di Israele. L’affermazione di un fascismo israeliano unico nel suo genere, misto a razzismo populista, è stata recentemente considerata una possibilità reale nel discorso politico e pubblico e nella ricerca accademica. L’ascesa di un governo nazionalista-religioso in Israele nel dicembre 2022 – che ha intensificato il dibattito sull’esistenza di elementi fascisti-razzisti nel governo di Netanyahu e su un “colpo di Stato costituzionale” pur mantenendo una facciata democratica – ha rappresentato una svolta radicale nella democrazia israeliana, che per molti ha smesso di essere liberale.

Questo, oltre alla partecipazione al governo di partiti che sposano una visione del mondo razzista, nazionalista e xenofoba, che prendono di mira i diritti civili, le minoranze e i media e che presentano una posizione di sfida e di provocazione nei confronti del mondo illuminato. Questi elementi sono sufficienti per definire l’attuale regime, la società e le istituzioni civili israeliane come fascisti? Per ora la risposta è negativa, con l’accento sulla parola “ora”.

Se a tutto ciò si aggiunge il regime di occupazione e apartheid imposto da Israele per oltre mezzo secolo in Cisgiordania – e il passaggio da “occupazione temporanea” a situazione coloniale permanente, che ha dato credito ai procedimenti giudiziari in corso presso la Corte Internazionale dell’Aia – e se a ciò si aggiungono elementi etnocratici, secondo il paradigma del geografo politico Oren Yiftachel, secondo cui un gruppo etnico si appropria delle risorse e delle istituzioni dello Stato a spese delle minoranze, pur continuando a presentarsi come una (vuota) democrazia, e in particolare la crescita di forze razziste basate sulla fede, non possiamo ignorare il pericolo che l’opzione fascista si materializzi in Israele.

Come ricorderanno allora gli israeliani questi giorni di tempesta? Come attraverseranno il fiume impetuoso che minaccia di affogarli? L’autoconsapevolezza dei cittadini preoccupati per la fragilità della democrazia si tradurrà in azione politica? Cosa resterà delle vicissitudini di questi giorni bui? Gli israeliani si ribelleranno? Oppure si piegheranno, si arrenderanno, faranno ammenda e scenderanno a compromessi e, chissà, forse preferiranno vivere altrove? Non ci resta che interpretare correttamente le vicissitudini di questi giorni, continuare a lottare e ad aggrapparci alla speranza, ripetere sempre le parole dell’inno cantato dai combattenti per la libertà di fronte ai soldati nel secolo precedente: no pasarán”.

(seconda parte, fine)

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