«Gli ultimi sei mesi sono stati i più lunghi e bui di sempre. Hanno messo alla prova ogni parte del mio corpo, ma soprattutto della mia mente. Giorni infiniti, passati a pensare se valesse davvero la pena di continuare ad alzarsi ogni mattina facendo le stesse cose per poi non ottenere nulla che mi facesse sentire felice».
È una parte dello sfogo che la nuotatrice azzurra Ilaria Cusinato ha affidato alla sua pagina Instagram, con la sincerità che la contraddistingue.
Dietro ci sono la sequenza di intoppi che le hanno precluso la possibilità di qualificarsi alle Olimpiadi, lo scoramento che ne è seguito e il ripresentarsi di quel vecchio spettro mai scacciato del tutto - la bulimia - di cui già aveva accettato di parlare qualche anno fa su queste colonne, «per liberarsi di un peso e aiutare ad accettarsi chi ne soffre», raccontando di come «capitava che mi sfondassi di cibo anche due o tre volte al giorno, mi faceva sentire piena. Soddisfatta. Poi il vomito auto-indotto, periodi in cui stavo senza mangiare. E il ciclo ripartiva».
Ilaria, ci racconta cos’è successo in questi ultimi mesi?
«Tutto è iniziato a metà dello scorso novembre, quando mi sono rotta il coccige scivolando in piscina, durante un allenamento a Campodarsego. È una brutta frattura perché non si può operare né ingessare, devi solo rimanere a riposo aspettando che si ricostruisca. Da lì si sono accavallati una tendinite alla spalla al rientro, una colica renale che mi ha ridotto male, la lombalgia alla schiena e pure una brutta bronchite. Continuavo a stare male e ho accusato il colpo a livello mentale, perché si sono ripresentati anche quei disturbi alimentari che non ho mai lasciato del tutto alle spalle, ma solo arginato».
Assieme alla depressione?
«Non la chiamerei così, perché non è stato un periodo prolungato, certo è che non avevo più voglia di fare niente, nemmeno di uscire di casa. L’unica cosa che mi ha “salvata” è stato tenere occupato il cervello studiando all’università, dove sto frequentando la Magistrale di Interpretariato».
Il minimo per qualificarsi alle Olimpiadi doveva farlo entro marzo.
«E verso metà febbraio ho anche pensato di rientrare per i Campionati italiani. Ma in quel momento mi sono detta: che senso ha provarci, se non sono minimamente pronta? E così mi sono chiusa nella mia bolla. Trattavo male le persone che mi stavano accanto, senza rendermene conto».
Quando ha realizzato che doveva reagire?
«Assistendo alle gare degli Assoluti ho capito che dovevo farmi aiutare, e mi sono rivolta al centro di Disturbi del comportamento alimentare dell’Azienda ospedaliera di Padova. Ovviamente so che il mio problema non si risolve in pochi giorni ma richiede mesi, l’importante, però, è averne preso consapevolezza e avere iniziato ad affrontarlo sia dal punto di vista psicologico che alimentare».
Pochi giorni fa è tornata a gareggiare, al SetteColli.
«E per aver ripreso a nuotare solo a metà maggio non è nemmeno andata male: mi sono qualificata per la finale B dei 100 farfalla, ma non ho voluto farla perché non sono in condizione. Già il fatto di rientrare, però, mi ha fatto cambiare prospettive e mi ha aperto gli occhi: ho capito che nuotare è quello che voglio, e che da settembre voglio riprendere al 100%. Se non tornerò quella di prima, amen, almeno ci avrò provato».
Chi le è stato vicino in questo periodo?
«Mia sorella Andrée, il mio allenatore Moreno Daga, con cui mi succede di parlare come in una seduta psicologica, il presidente del Team Veneto Davide Pontarin, che non mi ha mai messo pressione, così come mi hanno dato totale supporto le Fiamme Oro, la mia società militare».
Seguirà i Giochi da spettatrice o sarà troppo doloroso?
«Avrei voluto essere lì e, per come mi stavo allenando, sapevo di poter puntare a una finale. Ma le seguirò e farò tutto il tifo che posso per i miei compagni di Nazionale».
