Regia: Kelsey Mann
Doppiatori italiani: Pilar Fogliati, Deva Cassel, Marta Filippi, Federico Cesari, Sara Ciocca
Durata: 96’
Ad un certo punto, in una sequenza di “Inside Out 2”, Gioia, Rabbia, Paura, Disgusto e Tristezza vengono imprigionati in un barattolo, dopo che la mente di Riley (ormai tredicenne in piena pubertà) è stata “dirottata” da nuove emozioni: Imbarazzo, Invidia, Noia e, soprattutto Ansia, la nuova regina del quartier “cerebrale” e della plancia di comando. Insomma, le vecchie emozioni-base ora sono represse.
Ecco, il sequel di “Inside Out 2”, pur con alcune trovate ancora geniali e una evoluzione drammaturgica apprezzabile (la tempesta di sentimenti che l’adolescenza provoca, l’insicurezza, la voglia di essere accettati che travolge ogni cosa - famiglia e amicizie d’infanzia comprese – e, infine, la consapevolezza che siamo il risultato di emozioni diverse e contrastanti che costruiscono, giorno dopo giorno, il nostro essere più profondo lasciando anche spazio ad un libero arbitrio non rappresentabile), non ha, alla fine, quella forza trascinante che ci si attenderebbe da un film che, rispetto al primo capitolo, eleva al quadrato proprio le emozioni.
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Questa storia di avvicendamenti di stati d’animo che ingaggiano una sorta di battaglia per il potere dentro la testa della protagonista, alla fine, non esplode, non commuove come quando, nel primo film, Riley scoppia in un pianto liberatorio da cui nasce la consapevolezza che anche la tristezza è fondamentale per apprezzare i momenti di felicità.
Certo, “Inside Out 2” è ancora molto creativo, coglie la solitudine dell’adolescenza e alcune (struggenti) verità come l’ansia che, crescendo, erode pezzi sempre più grandi di entusiasmo e di gioia.
E ha momenti e personaggi ancora molto divertenti, come la “rivoluzione” dei pensieri positivi, il marsupio in 2d che scimmiotta la Casa di Topolino, la nonnina Nostalgia sempre intempestiva, il ragazzone Imbarazzo con la felpa a cappuccio e l’indolente e sarcastica Noia (doppiata da Deva Cassel).
Meno riusciti Invidia (che manca di una reale caratterizzazione) e anche la stessa co-protagonista Ansia (la voce è di Pilar Figliati) che si destreggia con un po’ di confusione tra il suo essere la nemesi di Gioia e un sentimento comunque ineliminabile nella complessità dello spettro emozionale di un individuo.
“Inside Out 2”, vero e proprio “coming of age” a disegni animati, nel suo essere più articolato, finisce, insomma, per risultare quasi più basico del primo (e, del resto, l’idea originale non poteva essere cavalcata più di così). E meno emozionante. Appunto. (Marco Contino)
Voto: 7
***
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Regia: Jeff Nichols
Cast: Austin Butler, Jodie Comer, Tom Hardy
Durata: 116’
Tra il Selvaggio di Brando e la gioventù bruciata alla James Dean, negli anni Sessanta molti furono i club di bikers che decisero di connotare di sé gli stati americani, finché poi da dropout e outsider iniziarono a tramutarsi in autentiche gang, composte da numerosi gruppi di motociclisti violenti e criminali.
Jeff Nichols decide di raccontare la storia di uno di questi, i Vandals con un giubbino ricco di croci uncinate e simboli di morte, ancora viva e attiva, rivale degli Hell’s Angels, partendo dall’omonimo libro fotografico di Danny Lyon, che ha illustrato la storia degli Outlaws (fuorilegge, appunto) DC di Chicago , uscito nel 1967.
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Anche il film si snoda attraverso le foto e le registrazioni effettuate da un giornalista, nato col gruppo e poi trasferitosi lontano da Chicago per studiare, che torna, qualche anno dopo, nel 1973, per ricostruire le vicende di quei ragazzi e una fase ben precisa della storia sociale e giovanile degli Usa, nell’epoca del Vietnam e della contestazione.
Ed è Kathy (Jodie Comer), l’unica donna del gruppo, a ricostruire con il giornalista le vicende di un decennio, entra a far parte dei Vandals e si sposa con un motociclista spericolato di nome Benny (Austin Butler).
Nel corso degli anni, la donna cerca di fare del suo meglio per destreggiarsi tra il temperamento del marito e la fedeltà che quest'ultimo deve a Johnny (Tom Hardy), il leader della banda. Kathy, infatti, sa benissimo che deve competere con il capo dei motociclisti per ricevere le attenzioni di Benny, anche se alla fine sarà la natura solitaria di Benny a prevalere.
Il film di Jeff Nichols è un tuffo nel passato, romantico ma non retorico, affettuoso e mai complice o incline a santificare quegli outlaw rispetto agli spacciatori e delinquenti puri che ne presero il posto. Un film che trasuda la letteratura di una generazione, un mondo al maschile narrato però da una donna e filtrato dalla sua sensibilità femminile, in un periodo in cui i tanti dropout e i tanti forrest gump degli Stati Uniti potevano vivere ai margini della società, senza esserne mai esclusi totalmente, come accadrà negli anni Settanta.
Ma nella scelta di narrare quel mondo e quell’epoca c’è forse l’unico rimpianto da parte del regista verso un’età in cui era ancora possibile decidere di vivere fuori dagli schemi e poi magari rientrarvi, in un’ennesima variante del mito americano di libertà, oggi quotidianamente negato da suprematisti e reazionari.
I riders non sono più easy. (Michele Gottardi)
Voto: 7
***
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Regia Oliver Parker
con Michael Caine, Glenda Jackson, John Standing
Durata: 96’
Un film di addii, intimo, struggente, crepuscolare come solo due grandi attori attorno ai novant’anni potevano offrire.
Il lungo addio di Glenda Jackson, al suo ultimo film prima di andarsene a 87 anni, il 15 giugno del 2023; quello dalle scene di Michael Caine, 91enne grande attore inglese, duttile e versatile negli infiniti ruoli della sua lunga carriera; l’addio alle armi del protagonista del film, Bernie Jordan (Michael Caine) che lascia furtivamente la casa di riposo dove vive con la moglie Irene detta Rene (Glenda Jackson), per partecipare al 70° dello sbarco in Normandia, nel 2014, quando la vicenda è ambientata. Sarebbe stato facile cadere nella retorica e nel melò più mieloso.
Ma il regista Oliver Parker, che ha portato Oscar Wilde sulle scene e sullo schermo, traspone questa vicenda con il giusto mix di sentimento e di commozione, andando oltre la senilità con un messaggio contro le guerre passate e presenti.
Bernie e Rene vivono una storia d’amore da oltre 70 anni: ora che lei è malata vivono in una sorta di social housing al secondo piano di una casa di riposo in cui mantengono un po’ di privacy. Quella privacy che permette a Bernie di fuggire verso la Normandia quando viene a sapere che non c’è più posto per lui nel tour con gli altri veterani della D-Day.
Taxi, ferry-boat a Dover, l’immancabile deambulatore al seguito e qualche generoso passaggio per raggiungere gli altri veterani del conflitto mondiale, così da potere rendere memoria tutti insieme in Francia ai commilitoni morti.
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La sua fuga diventa subito un'eccentrica notizia che raggiunge ogni capo del mondo, tanto che il fuggitivo diventa l'attrazione della prima pagina di diversi giornali, a sua insaputa. Peccato, però, che sia stata riportata solo una parte della storia di Bernard, che sta andando al cimitero di Bayeux (oltre cinquemila vittime britanniche sintetizzate in un esemplificativo “Che spreco enorme!”) a salutare il suo compagno carrista, morto appena toccata la spiaggia della Normandia, nel settore di Sword Beach. Incontrerà un altro reduce (John Standing), in cerca della tomba del fratello, con cui andrà insieme a Bayeux, ma anche degli ex-nemici tedeschi, ai quali i due veterani cederanno i posti d’onore nella gradinata della parata, in un messaggio di pace e fratellanza.
Il film è ispirato a una vicenda veramente accaduta, che venne definita, dall’hashtag con cui si seguiva Bernie sui social, “Il grande fuggitivo” come nel titolo originale. (Michele Gottardi)
Voto: 6.5
