La goccia che fa traboccare il vaso: «Quando mi sono accorta che Giovanni De Luna nella sua opera “Cinema Italia” non ha scritto una sola parola su Carla, mi sono indignata. E ho deciso che avrei raccontato io cosa ha fatto mia sorella, l’attrice Carla Gravina».
Diana è la minore delle cinque sorelle Gravina, un compatto nucleo familiare tutto al femminile che fa venire in mente le sorelle March di “Piccole donne”.
Del resto, chi meglio di Diana, la sorellina che non si è persa un suo film o uno spettacolo, conosce a fondo l’importante carriera artistica di Carla Gravina, una delle vere, grandi interpreti del secondo Novecento italiano?
Alla fine il libro l’ha scritto, ed è andato in stampa ed è nelle librerie da ua decina di giorni. L’autrice ha scelto non un titolo a effetto, ma la semplicità e l’immediatezza. “La vita artistica di Carla Gravina raccontata da Diana Gravina”, edito da Aracne-La Bussola, è stato presentato in anteprima assoluta a Sacile in un incontro frutto della collaborazione fra Ute e Cinemazero.
In collegamento audio-video, Diana Gravina e la figlia Arianna, intervistate da Paolo D’Andrea, hanno suscitato l’emozione del numeroso pubblico raccontando di questa antidiva per eccellenza che ha scelto di abbandonare il mondo dello spettacolo trent’anni fa per “non ridursi a stare in palcoscenico in pantofole” e anche perché sentiva di non riconoscere più la sua professione e un modo di recitare “sussurrante”, del tutto estraneo a un’attrice diretta da Strehler e da Ronconi, da Scola e Monicelli.
Il libro della sorella Diana inizia dalla fine e cioè dall’ultimo film di Carla, Il lungo silenzio di Margareth Von Trotta, con le musiche di Morricone, film uscito nel 1993 che, a dispetto di una pessima distribuzione, ottenne numerosi riconoscimenti, soprattutto per la stessa Gravina che interpreta la moglie di un magistrato (una storia raccontata a un anno di distanza dalle stragi di mafia di Capaci e Palermo). Ma, nonostante i premi e le ottime critiche, Carla Gravina decise di “chiudere le imposte” – scrive così Diana – per lasciare fuori il mondo esterno e finalmente guardare, lei perfetto “animale da palcoscenico”, a sé stessa.
Nel suo libro, l’autrice ricorda con nostalgia le radici friulane di Carla, con un’infanzia trascorsa tra Gemona e Moggio Udinese, dove la famiglia materna aveva una bellissima villa: qui fu coccolata dal nonno Giuseppe Nais che aveva una sorta di predilezione per questa nipotina dai capelli rossi e le lentiggini.
I folti capelli rossi e le lentiggini la fecero notare al regista Alberto Lattuada che la scelse per il suo film Guendalina: «Era il 1957 – dice Diana – noi ci eravamo trasferite a Roma da qualche anno e Carla fu notata per strada mentre usciva da scuola. Aveva 14 anni e mio padre, uomo rigido e severo, stranamente non si oppose subito, ma si consultò con un’insegnante che, guarda caso, era la moglie di Ettore Scola e così iniziò la carriera di mia sorella».
Era solo un’adolescente, ma seppe catturare l’attenzione dei più grandi registi di cinema e di teatro che la fecero recitare in ruoli importanti: grandi autori, grandi palcoscenici, set prestigiosi e poi la tivù che la rese ancor più popolare. Ma Carla non perse mai il controllo delle sue scelte: un carattere forte, una visione politica e sociale che la portò a impegnarsi direttamente (fu Parlamentare per il Pci dall’80 all’83), l’insofferenza verso le ipocrisie e le convenzioni a cui non si piegò mai, pagando duramente il prezzo per la sua maternità extra coniugale e per il rapporto sentimentale con Gian Maria Volonté.
Una donna indomita, Carla Gravina, come molte donne della sua terra d’origine, il Friuli, a cui è sempre rimasta legata, nonostante la lontananza.
Dice Diana: «Il terremoto del 1976 distrusse la villa dei nonni a Moggio e fu per tutte noi un trauma perché perdevamo il luogo che era lì a testimoniare la bellezza della nostra infanzia. Come famiglia facemmo una raccolta fondi, ma la quota maggiore la mise Carla e questo permise di donare al paese il primo prefabbricato di legno.