La recente pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea della direttiva 2024/1203 offre l’opportunità per alcune considerazioni sulla tutela penale dell’ambiente a livello nazionale e comunitario. Va rilevato innanzitutto che lo strumento della sanzione penale è come noto l’extrema ratio nel punire le condotte poste in essere dai privati. Esistono infatti altri strumenti che, pur meno afflittivi, possono risultare particolarmente dissuasivi. Mi riferisco alle sanzioni amministrative così come ai provvedimenti amministrativi di revoca e sospensione dell’attività. Oltre che, per quel che riguarda le imprese, alla responsabilità amministrativa prevista dalla legge 231/01.
Tanto premesso l’Europa, prima attraverso la direttiva 2008/99 e poi la citata recente direttiva 1203 ha stabilito che ciascuno stato membro si doti di un apparato penale “minimo” contro il crimine ambientale. Intendendo con reato ambientale la condotta che incide sull’ecosistema e, di conseguenza, sulla salute di ciascuno. Rispetto alla direttiva 99, la presente direttiva 1203 ha aggiornato le condotte contro l’ambiente che devono essere previste come reato da ciascuno stato membro. Qualora illecite e poste in essere intenzionalmente o con grave negligenza, allargando tale tutela rinforzata anche al commercio illegale di legname, alla violazione della legislazione Ue su sostanze chimiche e al riciclaggio illegale di componenti inquinanti di navi.
Va detto che, come ribadito dal ministro Guardasigilli in audizione presso la commissione Ecomafie, l’Italia si trova già in prima fila nel contrasto al crimine ambientale. A tale proposito non possono essere non ricordati due interventi normativi. Rispettivamente, uno “storico” e l’altro più recente che raccontano di questo impegno e determinazione. Mi riferisco all’inserimento nel codice penale di una serie di delitti penali a tutela dell’ambiente a partire dal “disastro ambientale”. Fattispecie di reato che, ancorché formalmente nel codice prima della riforma, era di fatto già punito attraverso altre fattispecie, senz’ altro meno efficaci rivolte alla tutela della pubblica incolumità anziché dell’ambiente.
Più di recente va segnalato la trasformazione dell’abbandono di rifiuto nel suolo o nelle acque da sanzione amministrativa a reato contravvenzionale pur se commesso da un privato cittadino. Va detto che la direttiva sulla tutela penale dell’ambiente non si limita ad inasprimenti di pena per condotte che in Italia sono già previste -come detto – come reato, ma introduce ulteriori disposizioni di interesse. Ne vorrei ricordare due.
La prima intesa a richiedere a ciascuno Stato membro che gli inquirenti, i giudici e gli enti di controllo, siano dotati delle dovute competenze specialistiche, attraverso una specifica attività formativa. La seconda prevede un ampliamento della responsabilità amministrativa delle imprese attraverso una sanzione che colpisca il loro fatturato o preveda una importante sanzione pecuniaria.
In conclusione, il recepimento della direttiva che dovrà avvenire nei prossimi due anni non coglie impreparato il nostro ordinamento. Tuttavia va sempre evidenziato come i cittadini e le imprese, anche in campo ambientale, debbono poter contare su regole certe, chiare e applicabili. Solo per chi viola deliberatamente le regole, o quanto con grave negligenza e contestualmente provoca un danno all’ecosistema, vanno utilizzati strumenti più severi. In tutti gli altri casi, è fondamentale che i cittadini e le imprese colgano l’opportunità del rigoroso rispetto delle regole, rispettivamente attraverso una maggiore consapevolezza ambientale e attraverso forme spontanee di adesione a maggiori standard ambientali così come avviene per le certificazioni ambientali.
L'articolo Tutela penale dell’ambiente: l’ultima direttiva Ue non coglie impreparata l’Italia, che è già in prima fila sembra essere il primo su Secolo d'Italia.