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G7, la rivincita di Giorgia

Con l’«Esame G7» superato a pieni voti, Giorgia Meloni finalmente si laurea come leader internazionale e posizione l’Italia quale forza stabile d’Europa, rispedendo al mittente i timori e i sospetti che la «premier più a destra dai tempi di Mussolini», come la definì la Cnn soltanto due anni fa, potesse trascinare Roma e l’Europa verso derive sovraniste e populiste, danneggiando così l’intera Unione Europea, perdipiù sdoganando il neofascismo a detrimento di una democrazia così faticosamente conquistata dopo la tragedia della Seconda guerra mondiale.

Niente di tutto ciò. È accaduto il contrario, per fortuna. Meloni ha costruito in questi mesi una credibilità internazionale reale e ha personalmente offerto una percezione di sé quale leader capace di mantenere in equilibrio tanto il parlamento italiano e i suoi deputati (nonostante restino alcuni impresentabili), quanto le irrequietezze degli altri leader dei 26 Stati membri (vedi Orban, ma anche Macron). Sono anzitutto loro che, dopo il voto europeo, guardano adesso all’Italia e alla sua premier come a un pezzo centrale del mosaico della diplomazia, nonché Paese insostituibile e aperto al dialogo. Dialogo intorno al quale occorre adesso innestare quel difficile percorso politico che porterà al rinnovamento tanto del Parlamento europeo quanto delle cariche al vertice delle nostre istituzioni comunitarie.

Va riconosciuto che al G7 Giorgia Meloni si è dimostrata anche un’ottima padrona di casa: ha evitato possibili quanto inutili solipsismi dettati dalla vanità; ha dribblato opportunamente le provocazioni di leader in difficoltà come Emmanuel Macron; e ancora, ha gestito ammirabilmente un presidente Biden spaesato e affaticato (gli ha evitato gaffe per lui inopportune e potenzialmente disastrose); e ha accolto un papa (prima volta che un pontefice partecipa al G7) non meno affaticato e brillante del solito, che Meloni ha voluto simbolicamente al suo fianco durante i lavori.

In questo modo, ha visto crescere la stima intorno a sé di ora in ora, e ha definitivamente conquistato il premier inglese Rishi Sunak non meno del collega indiano Narendra Modi. Ha inoltre gestito bene la presidente e candidata in pectore per la guida della Commissione Ursula Von der Leyen, anche se a nessuno è sfuggita la freddezza tra le due «donne forti d’Europa»; quindi ha ricevuto il presidente Zelensky facendolo sentire integrato e non un elemento spurio nel contesto; infine, ha attovagliato anche gli altri potenti della Terra, come il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, invitato tra gli ospiti d’onore per le rotonde e riunioni su Africa, Mediterraneo, risorse energetiche e intelligenza artificiale.Unica nota stonata, l’assenza dell’ultima ora del principe ereditario d’Arabia Saudita, Mohammed Bin Salman.

L’appuntamento del G7 ha visto concordi i suoi protagonisti non soltanto nel decidere, per la prima volta nella storia, di prestare all’Ucraina ingenti finanziamenti – ben 50 miliardi di dollari – per far fronte all’aggressione russa, ma anche nello stabilire come quel denaro sarà sostenuto a tal fine dai profitti degli investimenti russi congelati. Una decisione senza precedenti, seguita peraltro da un passo in avanti dello stesso Vladimir Putin che, capita l’antifona, ha buttato sul tavolo una controproposta di pace in quelle stesse ore che, quantunque irricevibile, dimostra come il leader russo sappia di essere realmente isolato a livello internazionale e, di conseguenza, offre la sua disponibilità a intraprendere un percorso di compromesso che porti a una pace.

Per il resto, Giorgia Meloni ha dimostrato di poter essere una forza tranquilla, affidabile e sinceramente atlantista, alle cui spalle agisce uno dei governi più stabili tra quelli che hanno fatto visita in Puglia. La premier era così a suo agio con gli illustri ospiti che, nella conferenza stampa finale, ha rivendicato come «le conclusioni del vertice hanno ottenuto già il consenso dei leader», sottolineando con un pizzico di umiltà che il raggiungimento di tale consenso è stato «un risultato inaspettato di cui sono particolarmente orgogliosa». E ha ragione a esserlo: tralasciando lo sgambetto francese sul mancato accordo in materia di aborto, non un intoppo ha oscurato la perfetta (per una volta) organizzazione italiana del summit dei Grandi della Terra, dove il lavoro finale ha soddisfatto senza sorprese tutti i presenti. Non una polemica né una sconfessione politica sono emerse al G7 italiano. Il che, in questa passerella internazionale, è già di per sé un risultato gigantesco.

Il fatto che l’Italia abbia per una volta non solo brillato, ma abbia avuto davvero voce in capitolo, è qualcosa che merita di essere sottolineato. Oggi, grazie anche all’atteggiamento della premier (e del suo ottimo inglese), Roma ha salito un gradino della scala che conduce alla leadership dell’Europa intera, dove le stelle tedesca e francese sono quanto mai appannate, e stabilito che l’Italia occupa ormai stabilmente un posto centrale nel consesso euro-atlantico ed è decisa a dare le carte anche all’interno del Partito Popolare Europeo.

Sono lontani i tempi in cui un premier a molti indigesto comeSilvio Berlusconi ricevette un avviso di garanzia recapitatogli dalla Procura di Milano proprio mentre era impegnato in un vertice Onu sulla sicurezza (Napoli, dicembre 1994), fatto che umiliò l’Italia prima ancora che il suo leader. Oggi la musica è decisamente cambiata: Meloni ostenta sicurezza e, forte della sua posizione conquistata, pretende che finalmente «all’Italia venga riconosciuto il ruolo che le spetta in termini di competenze dei commissari e che l'Europa comprenda il messaggio arrivato dai cittadini europei».

Quanto allo spettro fascista e al radicalismo destrorso italiano, questo argomento sembra come evaporato nella mente degli altri leader democratici che, all’ombra degli ulivi secolari della Puglia, hanno rivolto alla nostra premier sorrisi quasi incantati. Specie a fronte degli exploit elettorali dei veri «estremisti di destra» in Francia e in Germania, infatti, a Meloni è bastato dimostrare che l’Italia non rischia alcuna deriva populista e che si ponte saldamente al fianco della Nato e dell’Ucraina per cancellare tutto il resto.

L’unica cosa che, nel breve termine, può davvero danneggiare Giorgia Meloni è la gestione interna del suo partito, Fratelli d’Italia: mentre lei intona il canto della vittoria, i suoi spesso stonano come campane e non riescono proprio a seguire lo spartito. Ecco forse anche perché, mai come oggi, sembra esserci solo «Giorgia».

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