Negli anni ’70, Toni Negri è stato ritenuto responsabile della radicalizzazione violenta di migliaia di giovani e accusato di essere il capo del terrorismo italiano.
“Il film – ha spiegato il regista durante un incontro stampa – ricostruisce la vita di Toni Negri dal punto di vista della sua famiglia, un approccio mai tentato prima”.
In effetti, Penco ripercorre l’intera vita di Negri attraverso una lunga intervista realizzata a Parigi durante il periodo del COVID, utilizzando anche materiali d’archivio. La narrazione parte dalla rigida educazione impartitagli dalla madre, attraversa la sua ascesa ai vertici di Azione Cattolica, il rapporto con Marco Pannella che lo portò in Parlamento, fino al caso Moro, descritto dal regista come “un caso di estrema manipolazione”, senza trascurare “la freddezza nei rapporti con Enrico Berlinguer e il Partito Comunista Italiano”.
“È strano – afferma Penco – ma Toni Negri divenne famoso e un caso mediatico solo dopo il suo arresto e l’assurdo processo che subì. Prima di allora, era un normale professore di Filosofia a Padova”. Convinto europeista, Toni Negri ammette di aver commesso molti errori, “ma non crimini”. Nel film sono fondamentali i contributi delle figlie Anna e Nina (il figlio maschio ha scelto di non partecipare per motivi personali), che evidenziano anche gli errori e le fragilità di Negri. Lui stesso afferma di non avere intenzione di rivedere il suo passato: “Le cose muoiono naturalmente”, dice nel film.
Il documentario verrà presentato il 17 giugno al Biografilm Festival a Bologna.
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