foto da Quotidiani locali
Il Movimento 5 Stelle è pronto, se non obbligato, a cambiare, perfino le regole storiche. Ma Giuseppe Conte, quello no, non si tocca. «La sua leadership non ha alternative», dice Stefano Patuanelli, capogruppo pentastellato al Senato, nel blindare, senza dubbio alcuno, il capo politico. Parole che pesano perché, carica a parte, l’ex ministro interviene dopo due assemblee notturne in Parlamento, senatori e deputati uniti, occasione per un confronto dopo il flop grillino alle europee: il 9,9%, vale a dire sette punti in meno del già deludente risultato 2019, il Sud che non regala miracoli, il Nord Est che restituisce non più del 5,7%.
Senatore Patuanelli, che clima c’era durante l’assemblea?
«Non d’entusiasmo, ovvio. Ma il risultato è indiscutibilmente negativo ed era necessario vederci per capirne le ragioni».
Quali sono?
«Innanzitutto parliamo di una competizione elettorale che non ci ha mai premiato. Ma non basta questo per le giustificazioni».
Vi siete capiti?
«Ci sono state varie considerazioni comuni. A partire dalla scarsa competitività delle liste in termini di consenso. Con le preferenze fatichiamo da sempre».
Paradossale per chi tuona contro i sistemi elettorali dei nominati, non trova?
«Non ragioniamo per convenienza di partito. Restiamo convinti che quello delle preferenze è lo strumento giusto per dare risposte ai cittadini. Servono però persone competitive nelle nostre liste e, sin qui, non ne abbiamo avute troppe».
Il limite dei due mandati vi impedisce di costruire una riconoscibilità?
«Ça va sans dire. Ma è l’aspetto negativo di una norma identitaria».
Conte ha lanciato l’idea di una costituente per il “miglioramento delle regole”. È arrivato il momento di cambiare identità?
«Si tratta di parlare anche di regole. Ciò non significa avere già la soluzione».
Ma, fosse per lei, toglierebbe il limite dei due mandati?
«Fosse per me, lo manterrei nei diversi livelli istituzionali. Ma un parlamentare, dopo dieci anni, può anche fare il consigliere regionale, e viceversa. E poi mi piacerebbe l’obbligo di un mandato in Consiglio comunale prima di andare a Roma, consapevole che non può bastare questo per svoltare».
Cosa serve?
«Innovazione della linea politica e della nostra postura nel panorama politico».
Cioè?
«Dobbiamo identificare con maggior precisione lo spazio che vogliamo occupare. Fermo restando che rimane il campo progressista».
Starete con il Pd nel campo largo?
«Il tema non è con chi stai, ma che cosa porti. Mi pare che in quel campo ci sia congruenza delle posizioni».
Sarà sufficiente?
«Affronteremo i nodi emersi: dall’organizzazione interna alle campagne elettorali. Sono quasi vent’anni che siamo sulla scena, ma non abbiamo mai fatto un’analisi su come aggiornare le proposte al tempo che passa. Va rinnovato il messaggio politico».
Il vostro presidente si è detto disposto a farsi da parte. Avrebbe già dovuto farlo?
«Assolutamente no. Il consenso che Conte ha nel Paese è molto più alto di quello del M5s. È un tema che ho messo sul tavolo della discussione nell’assemblea congiunta».
Il vostro leader ne è uscito rafforzato?
«Non è entrato indebolito. Quello di Giuseppe Conte è un volto che i cittadini italiani riconoscono come istituzionale, un volto da presidente del Consiglio».
Grazie al Covid?
«Grazie anche alla miglior gestione possibile dell’emergenza. Quando Meloni gli dava del criminale».
In sostanza il movimento non è all’altezza di Conte?
«Bisogna capire come coniugare il senso di responsabilità e di moderazione di Conte con il portato storico del M5s».
In queste ore non ha mai avuto la sensazione che il movimento sia finito?
«Siamo stati fondamentali. Quella scorsa è stata la legislatura delle più grandi riforme del Paese e per la prima volta un Governo ha pensato ai più poveri come priorità, mentre di riforme o misure memorabili di Meloni non si vede traccia. Abbiamo completato una fase, ci siamo biodegradati e trasformati. No, non siamo finiti».
Cos’è oggi per voi Beppe Grillo?
«Il garante dei valori, dei principi e del funzionamento del movimento».
Sta con Conte?
«Non sono due persone facili. Si sono poco a poco capiti, le asperità iniziali sono superate».
L’ha sentito in queste ore?
«Lo sento spesso».
È arrabbiato?
«Quando le cose vanne bene, Beppe smorza. Quando vanno male, sdrammatizza».
Come giudica il gelo Meloni-Macron?
«Con dispiacere. Meloni, nei consessi internazionale, è la mia presidente del Consiglio, vorrei riuscisse a non incrudire i rapporti internazionali, come tende a fare».
Chi si aspetta alla guida della Commissione dell’Europa appena rinnovata?
«Non prevedo stravolgimenti. Il M5s difficilmente potrà sostenere però una nuova maggioranza Ursula».
Si prepara per le comunali di Trieste 2027?
«Sto pensando solo a fare bene il capogruppo e a chiudere due mandati totalizzanti in Parlamento».
