foto da Quotidiani locali
Hanno i computer sulle ginocchia o sui tavolini, d’altronde la sessione d’esame è entrata nel vivo anche per gli studenti che da un mese stanno occupando la sede cafoscarina di San Sebastiano.
Qualcuno è ancora in pigiama, altri studiano, c’è chi entra e c’è chi esce, chi organizza il pranzo sociale e chi l’assemblea. Davide ai piedi ha solo le calze e calpesta il pavimento dell’ateneo come se fosse quello di casa propria. In fondo, nell’ultimo mese lo è diventata.
«Quest’occupazione non è stata solo politica, ci ha permesso di creare uno spazio alternativo di cui tutti sentivamo il bisogno. Mi sento a casa, o forse è anche meglio perché quando torno dal lavoro c’è qualcuno ad aspettarmi» racconta, seduto davanti alla porta - chiusa - di ingresso. Davide studia servizio sociale in magistrale e sogna una società un po’ più inclusiva, le battaglie un po’ più collettive e le comunità un po’ più accoglienti. «La vera sfida sarà portare fuori ciò che abbiamo creato qui dentro, creare un tessuto cittadino che sia comunitario» prosegue.
L’occupazione ha la forma di una comune, delle tende e dei tappetini da yoga trasformati in letti, delle piastre a induzione da campeggio, di un pacco di biscotti lasciato sul tavolo per tutti, perché la comunità condivide alimenti e sentimenti.
«Ogni sera, dopo cena, facciamo lo sharing» spiega Marta, studentessa magistrale di Environmental Humanities, «si tratta di un momento in cui ognuno di noi dice come si sente, come è andata la giornata. Abbiamo anche un gruppo di cura, in cui ci sfoghiamo quando abbiamo bisogno di essere ascoltati» aggiunge.
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Cura e ascolto diventano così le parole chiave dell’occupazione, i fondamenti della società che vorrebbero costruire, in cui i singoli pensano al bene della comunità in modo che, di rimando, possano stare bene a loro volta.
D’altronde, spiega Anita, studentessa triennale con gli occhi grandi e gli shorts di jeans, «Le azioni quotidiane fatte insieme sono trasformative a livello politico». Il personale, insomma, diventa politico e si misura nelle scelte di tutti i giorni. Un esempio? Nelle scelte alimentari.
«Abbiamo deciso di mangiare vegano in ottica anti specista» spiega Alice, studentessa del Pise in triennale che, racconta, da tempo avrebbe voluto diventare vegana «ma pensavo fosse difficile. Invece qui, con tutti, è diventato facilissimo». Alle pareti, i cartelloni con gli impegni, gli orari delle assemblee, i turni in cucina e per la spesa.
L’aula Colonne è diventata un grande spazio ricreativo con i disegni alle pareti, i manifesti con le loro rivendicazioni, «San Sebastiano si occupa della Palestina che resiste» recita uno. Nella biblioteca condivisa spuntano i volumi di Annie Ernaux, saggi come “La rivoluzione del desiderio” e “Come vivere con gli altri senza essere né servi né padroni”, di Yona Friedman. I giovani leggono in giardino, sulle amache, in tenda, da soli o insieme non importa. E quando qualcuno sente bisogno del proprio spazio, va nella «stanza della decompressione», dove può trovare più tranquillità. La sera ci sono gli eventi, la parte ricreativa, ma la mattina si studia e il pomeriggio si tengono assemblee e incontri su temi specifici, «per una formazione orizzontale» precisano.
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«Non ho mai sentito di usare così bene la mia testa come in questo momento» racconta Davide, «sento di star facendo qualcosa che è veramente formativo e arricchente» precisa, sottolineando come questo non sempre avvenga in università, dove «le gerarchie frenano l’entusiasmo e il ripetere a pappagallo è preferito rispetto allo spirito critico».
Su questo sono tutti d’accordo, annuiscono davanti al caffè che bevono nei barattoli dei sottaceti finiti e trasformati in tazzine. Sta tutta qui l’essenza dell’occupazione: in un caffé che si adatta a un altro recipiente e lo fa proprio.