foto da Quotidiani locali
TRIESTE Le ricerche sono proseguite per anni, scavando negli archivi di Stato, nelle pagine dei giornali dell’epoca e nei ricordi di chi l’ha conosciuto. Oggi, a quasi sessant’anni dalla sua morte, è possibile ricostruire con precisione l’itinerario biografico e artistico di Carlo Kert, figura poliedrica della Trieste primo-novecentesca, fotografo, attore, ma soprattutto «cineasta», come lui stesso era solito definirsi.
È uno strano paradosso, quello che finora circondava la storia di Kert. Nel 1945 il suo nome riempiva le pagine di tutti i quotidiani locali: alla sua regia si deve, infatti, il primo film girato a Trieste nel secondo dopoguerra, “Trieste mia!”, che dietro le sembianze di un documentario metteva in scena uno spietato ritratto dei triestini. Ciò nonostante, la memoria di Kert è stata conservata soltanto da pochi intimi, mentre la sua vasta produzione è velocemente caduta nell’oblio. Addirittura, di “Trieste mia!” si sono perdute tutte le copie: è rimasta solamente la locandina, esposta al museo Carlo Schmidl di via Rossini.
Grazie all’assidua indagine del figlio Danielee al recente contributo di Maurizio Radacich – autore di un “Dizionario del cinema della Venezia Giulia” di oltre 900 pagine – ora il paradosso è stato finalmente superato e della vita di Carlo Kert si conoscono tutti i passaggi più significativi.
Nato a Trieste nel 1903, Kert si avvicina fin da giovane al teatro, lavorando come attore nella compagnia di Giglio Padovan. Suona il violino, ama il disegno e la fotografia. Ma la vera passione si rivela presto essere il cinema, non appena il grande schermo inizia a diffondersi per l’Europa. Kert scrive recensioni per varie riviste ed è solo questione di tempo – siamo alla fine degli anni Venti – per vedere abbozzate le prime sceneggiature.
Nel 1929, costretto da una difficile situazione familiare, si trasferisce in Belgio, a Bruxelles, dove però non smette di coltivare i suoi interessi. Tant’è che il primo film sonoro belga, “La serenade”, porta il suo nome.
Un’infausta peripezia lo costringe di nuovo a emigrare. Alla fine degli anni Trenta Kert viene contattato per fotografare una serie di militari e gerarchi nazisti (tra i quali figura anche, probabilmente, Adolf Hitler) durante una visita in Belgio. Un accordo che, in seguito all’invasione tedesca del Belgio nel 1940, gli costa un mandato d’arresto della Gestapo, preoccupata dell’esistenza di fotografie non autorizzate del Führer. Kert viene deportato a Berlino ma, dopo essere stato dichiarato inabile ai lavori forzati, riesce a tornare a Trieste nell’aprile del 1942.
Anche qui non mancano le difficoltà: accusato di tramare contro il governo fascista, viene nuovamente deportato in un campo di lavoro forzato, questa volta a Gelovizza. La detenzione, però, dura poco e così Kert riprende in mano la penna, immaginando un grande progetto cinematografico che culmina in “Trieste mia!”. Nel frattempo, in via Ghega 8, nasce la “Produzone Kert Film”.
Pur acquisendo, grazie al successo di “Trieste mia!”, una fama piuttosto consolidata nell’ambiente artistico triestino, Kert dovrà salutare ancora la sua città natale nel 1946. Stavolta, a persuaderlo, è il clima tutt’altro che pacificato della città nel secondo dopoguerra: nel 1945 muore il suo figlio più giovane e il Belgio promette quella tranquillità che la Venezia Giulia non sa ancora offrire. A Bruxelles vivrà fino alla sua morte, nel 1965, lavorando come fotoreporter. —
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