di Michele Tamburrelli*
Nel caos dei social e delle dinamiche aziendali, si fa presto a dire ‘smartworking’. Ma cosa si cela dietro questo termine di moda, che promette la libertà dallo stress quotidiano e la flessibilità dei tempi? Scopriamolo insieme.
Durante la pandemia, il lavoro da remoto è diventato un salvagente per molti, consentendo di contenere il contagio, di proseguire le attività economico-produttive, di salvaguardare l’ambiente e molto altro. È stato un abbraccio virtuale per le neomamme, un sollievo per coloro che si confrontano con una rete familiare sottile come filo di seta. Questa modalità lavorativa permette ad aziende lungimiranti di assumere personale anche distante centinaia di chilometri, senza costringere i lavoratori a onerosi trasferimenti nelle grandi città dove il costo della vita è mediamente più alto, chiedendo loro, tutt’al più, qualche trasferta mensile.
Sono evidenti in questo caso i vantaggi derivanti dal mancato uso dei veicoli e dei mezzi di trasporto in genere e, di conseguenza, nell’impatto sull’ambiente e sugli equilibri dei tempi di vita e di lavoro. Molte aziende, da ultimo, utilizzano lo smartworking come benefit per attrarre i candidati migliori.
Lo smartworking, detto anche lavoro agile, è una modalità lavorativa che può essere introdotta previo accordo con il lavoratore e, anche dopo il periodo emergenziale della pandemia, sono numerose le aziende e i lavoratori che si apprestano a farne uso: ma le aziende sono attrezzate organizzativamente per accogliere questa modalità lavorativa? L’introduzione dello smartworking presuppone infatti grande responsabilità da parte dei lavoratori e un’organizzazione del lavoro fondata sulla condivisione degli obiettivi, una efficiente e che valorizzi la capacità di delega: viene infatti meno il meccanismo del controllo diretto e viene incentivato il lavoro “responsabile”.
E’ quindi necessario che le aziende adattino la loro struttura organizzativa per poter accogliere questa impostazione di lavoro in quanto, diversamente, si rischia di creare un “effetto boomerang”, sia per le aziende che per i lavoratori. Il rischio per i lavoratori, in caso di una organizzazione del lavoro inadeguata, è la possibilità che si alimentino demotivazione, mancanza di indirizzo: a lungo andare si potrebbero verificare tensioni dovute ai cali di produttività e alle richieste più pressanti di raggiungimento dei risultati, che a loro volta potrebbero generare stress e sovraccarico di lavoro. Del resto la necessità di regolamentare, per esempio, il diritto di disconnessione e le modalità pratiche di realizzazione dello smartworking, nasce proprio dal timore che questa modalità organizzativa, che porta con sé molti vantaggi, possa riverberare effetti negativi e pericolosi per la salute di chi opera con questa modalità.
Le aziende dal canto loro devono effettuare una seria analisi organizzativa, per consentire lo svolgimento del lavoro in sicurezza e assicurarsi un utile ritorno di profitto, oltre che l’abbattimento dei costi (considerati in passato fissi) che spesso induce e invoglia a sperimentare questa modalità organizzativa: riduzione dei costi per affitti, utenze varie, assicurazioni, cessazione contratti di appalto per forniture varie (mense, pulizie), etc.
Anche alle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro viene chiesto di aggiornare le proprie competenze: terminato il periodo di disciplina emergenziale del lavoro agile, coerentemente a quanto previsto dal protocollo del 7 dicembre 2021 sottoscritto dalle maggiori organizzazioni sindacali e datoriali, sarà possibile negoziare la materia anche a livello aziendale, integrando la previsione della legge 81/2007 relativa all’accordo individuale, al diritto alla disconnessione, l’utilizzo della strumentazione informatica, la durata e modalità di recesso dall’accordo.
Negoziare lo smartworking in azienda necessita di essere consapevoli che bisognerà implementare nuove conoscenze e competenze in tema di salute e sicurezza, organizzazione aziendale e diritto del lavoro. In questo ultimo ambito sarà necessario, per esempio, oltre alla conoscenza approfondita della normativa, fare attenzione alle discriminazioni indirette che si potrebbero generare in tema di accesso alla carriera e alla retribuzione di coloro che lavorano in smartworking, o che lo usano più frequentemente, rispetto a chi sceglie o a coloro cui viene richiesto di lavorare in presenza. E’ il caso di ricordare che la normativa va letta anche considerando il diritto di richiedere modalità di lavoro flessibili, previsto dalla direttiva Ue 2019/1158: questa normativa orienta ad un’organizzazione del lavoro che possa assicurare un equilibrio tra attività professionale e vita familiare per i genitori e i prestatori di assistenza.
E’ di fondamentale importanza anche l’aspetto legato alla salute e sicurezza negli ambienti di lavoro, con il necessario adeguamento del documento della valutazione dei rischi per quanto concerne principalmente la parte relativa allo stress lavoro correlato e ai rischi di lavoro svolto in isolamento, che si presumono essere temi sensibili nel lavoro agile. Naturalmente il lavoratore, il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza e le altre figure del sistema di salute e sicurezza dovranno ricevere adeguata formazione sia per gli strumenti e i servizi di lavoro utilizzati, dati o meno in dotazione dal datore di lavoro, che per i rischi specifici e generali.
Solo attraverso una regolamentazione intelligente possiamo quindi assicurare che lo smartworking sia davvero un’opportunità e non una minaccia per i lavoratori e le aziende.
* Laureato in diritto del lavoro e relazioni industriale presso la facoltà di Scienze Politiche di Milano, si è occupato della materia fin dai primi esordi nel sindacato, insegnando nei corsi ai rappresentanti sindacali, trattando i problemi vertenziali, sicurezza e di tutela dei lavoratori, operando nel settore terziario, turismo e servizi. Appassionato anche della materia della formazione ha diretto per diversi anni un ente riconosciuto.
L'articolo Solo con regole intelligenti, lo smartworking è un’opportunità e non una minaccia proviene da Il Fatto Quotidiano.