BELGRADO. In Bosnia-Erzegovina salgono i timori per la stabilità e la tenuta del Paese, in vista del voto all’Onu sulla controversa risoluzione su Srebrenica, invisa ai serbo-bosniaci. Tra Serbia e Kosovo, nel frattempo, la tensione rimane sempre altissima. Ma ora, nei Balcani, si apre – come si temeva – un nuovo caldissimo fronte. È quello che vede contrapposte Macedonia del Nord e Grecia, con anche la Bulgaria che si è detta già pronta a schierarsi contro Skopje in una battaglia politico-diplomatica che potrebbe avere conseguenze devastanti sulle aspirazioni europee dell’ex repubblica jugoslava.
La miccia della nuova crisi, l’insediamento della neo-presidentessa macedone, Gordana Siljanovska Davkova, sostenuta dal partito conservatore-nazionalista Vmro-Dpmne, trionfatore anche alle elezioni parlamentari di questo mese, e prima donna a ricoprire questa posizione a Skopje. Siljanovska Davkova che, al momento del giuramento solenne, ha deciso di pronunciare in maniera diversa da quella canonica la formula della dichiarazione, promettendo pubblicamente di «esercitare con coscienza e in maniera responsabile i poteri» di nuovo capo dello Stato «della Macedonia» e ribadendo poi, davanti a deputati e rappresentanti di Stati stranieri, di essere pronta a «rispettare la Costituzione e le leggi e a proteggere la sovranità e l’indipendenza della Macedonia». Mancava, volutamente “del Nord”, specificazione tralasciata da Siljanovska Davkova che, assieme al Vmro-Dpmne, ha più volte contestato gli storici accordi di Prespa che, nel 2018, posero fine alla pluridecennale diatriba sul nome con la vicina Grecia, che ha sempre letto il termine “Macedonia” come proprio, interpretando l’uso fatto da Skopje come un furto della propria storia e identità.
Ma sei anni fa, con un processo molto doloroso, Skopje aveva concordato con Atene di aggiungere appunto quel “del Nord”, chiudendo così la tenzone con la Grecia e, in teoria, spianando la strada al percorso d’integrazione Ue della Macedonia del Nord. In realtà, ricordiamo, un nuovo veto, quello bulgaro, ha successivamente messo i paletti tra le ruote ai macedoni, causando l’irrobustimento di uno spirito euroscettico, tra i fattori che hanno contribuito alla vittoria del Vmro-Dpmne e di Siljanovska Davkova. Ora, dopo le parole della neo-presidentessa, le frange più nazionalistiche in Macedonia del Nord gongolano, sognando un ritorno alla “Repubblica di Macedonia”. Ma Atene è già sulle barricate. Prima l’ambasciatrice greca a Skopje, Sophia Philippidou, ha abbandonato sdegnata la cerimonia di giuramento, mentre a stretto giro di posta il ministero degli Esteri ellenico ha parlato di «grave violazione» degli accordi di Prespa. «La scelta provocatoria» della presidentessa macedone «viola il testo del suo giuramento» ed è una «iniziativa illegale e inaccettabile», la durissima reazione del premier Mitsotakis. Che ha evocato possibili effettivi negativi «sul futuro europeo» di Skopje.
Preoccupazione è stata espressa da Berlino, mentre «molto deluso» si è detto il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel. E von der Leyen ha puntualizzato che il Paese deve «rispettare appieno gli accordi» con Atene, se vuole sperare di proseguire verso l’adesione.
Non c’è tuttavia solo Atene. Anche Sofia, che attende – e si teme lo farà a lungo – emendamenti costituzionali per la protezione della minoranza bulgara in Macedonia del Nord, ha ieri accusato Skopje di non rispettare i «trattati internazionali, incluso quello di Amicizia, buon vicinato e cooperazione» siglato nel 2017. E tutti gli elementi per una nuova, grave crisi sono ormai sul tavolo.