I nemici del premierato li riconosci subito da un particolare. Da un aspetto, un minimo comun denominatore, che proprio non riescono a sopportare e che temono: forse più della riforma in sé. Di cosa parliamo? Del consenso popolare, del favore – evidenziato plasticamente da una rilevazione di You Trend – che accompagna la proposta di rigenerazione istituzionale partorita dal destra-centro. Davanti a questo fenomeno di empatia, una proposta politica tanto complessa quanto intellegibile all’opinione pubblica («Vuoi decidere direttamente tu chi governa? O preferisci ancora governi stabiliti a tavolino da chi perde le elezioni?»), gli avversari più ideologici e accaniti della democrazia decidente sono entrati letteralmente nel panico. La reazione? Scontata: invece che prendersela con loro stessi – con la loro incapacità cronica di connessione sentimentale con l’opinione pubblica – sempre più spesso e spudoratamente finiscono col prendersela col popolo stesso.
La palma d’oro se l’aggiudica l’ex premier Mario Monti: al quale va riconosciuta una dote di sincerità invidiabile quanto rivelatrice del dispositivo anti-sociale che muove la sua figura. Il senatore a vita, nell’intervista-fiume con Aldo Cazzullo, è stato tranchant: «Sono contrario (al premierato, ndr) soprattutto perché ci priverebbe della possibilità di far nascere, in casi di emergenza, governi di unità nazionale». Proprio così. Monti capovolge completamente il senso della storia recente – ossia il fatto che proprio gli esecutivi tecnici come il suo abbiano contribuito, senza risolvere alcuna emergenza, a svuotare di senso la rappresentanza a vantaggio del vincolo esterno – ribaltando con questo anche i ruoli di accusa e difesa. Lo spiega perfettamente nel suo nuovo libro dal titolo che è tutto un programma: “Demagonia”. Un neologismo che indica «che la demagogia e il populismo possono portare all’agonia e alla morte della democrazia. E anche i “demoi”, i popoli, possono morire». Tradotto? Per Monti la cura è sempre la stessa del “grigiocrate”: austerità, dirigismo e fanatismo rigorista. A salvare i popoli da loro stessi ci penseranno dunque i tecnocrati espressione “diretta” della volontà anti-popolare…
Menzione d’onore, quando si parla di una certa narrazione, per Repubblica e il gruppo Gedi. Al quotidiano largo Fochetti non è andato proprio giù che al convegno sul premierato organizzato dalle fondazioni Craxi e De Gasperi a cui ha partecipato la premier Meloni sia intervenuta – accanto al coté di esperti e civil servant – la società civile. E così la presenza di imprenditori, sportivi, artisti, uomini e donne dello spettacolo, interpellati come interlocutori per una riforma che riguarda tutti i cittadini, è stata immediatamente ridotta a caricatura: «La campagna» per l’elezione del premier, appuntava l’inviato di Rep, «diventa un reality». La morale è evidente: quando porzioni sociali si muovono fuori dai codici rigidi del “luogocomunismo” la narrazione va distorta. Ecco che non si tratta più di «ceto medio riflessivo» che partecipa al dibattito sulla cosa pubblica ma di una nebulosa popolana alla corte del re. Per rendere ancora più chiaro concetto il quotidiano ha ospitato l’analisi di un politologo autorevole come Carlo Galli. Il quale stavolta, criticando legittimamente il premierato, non è sfuggito però ai toni apocalittici: ribattezzando la riforma come una scivolamento verso la «post-democrazia», nella quale la volontà popolare viene ridotta tout court «ad essere un agglomerato di privati, intenti ai propri interessi, che delegano coscienza e sensibilità politica a un capo».
Una descrizione decisamente parossistica, da girone dantesco, che fa scopa con la variazione grottesca sul tema: l’uscita da cabaret di Vincenzo De Luca. Stessa critica, stesso convegno sul premierato ma toni decisamente meno accademici: «Tra i presenti», ha commentato il governatore campano del Pd, «ho notato Pupo, Iva Zanicchi e… c’era anche ad ascoltare il progetto costituzionale un prete del nostro territorio, conosciuto come il Pippo Baudo dell’area nord di Napoli, con relativa frangetta. Sono momenti davvero imperdibili». L’incredibile e sprezzante riferimento di De Luca è a don Maurizio Patriciello: il popolare prete anti-camorra (e sotto scorta) di Caivano. Una battuta infelice che comprende arroganza e volgarità, tipica del personaggio in questione, rivelando allo stesso tempo tutto il fastidio che monta nella sinistra di ogni ordine e grado non solo perché il popolo gli ha voltato le spalle ma soprattutto perché un testimonial per eccellenza “si permette” di partecipare al dibattito favorito dagli avversari. Lo ha spiegato proprio De Luca il quale, invece di scusarsi per le parole incresciose, ha attaccato la premier accusando di «scorrettezza di chi ha strumentalizzato, a fini di propaganda politica, figure che non c’entrano nulla con le riforme costituzionali». Per i tipi del Pd, questo è il punto, l’argomento dell’architettura della Repubblica non è argomento per il popolo. Più chiaro di così davvero non si può.
L'articolo L’editoriale. Se per i nemici del premierato, ancor più che la riforma, il problema è il popolo (sovrano) sembra essere il primo su Secolo d'Italia.