foto da Quotidiani locali
MONFALCONE. Se effettivamente venerdì sera, nella corte esterna del Darus Salaam, sia venuto giù il primo muro, lo si capirà col tempo a venire. Di certo, però, la metafora del tramezzo da abbattere, per «costruire ponti di pace», citando papa Francesco come ha fatto don Paolo Zuttion, oppure per riavvicinare due parti distanti, un po’ come l’ostpolitik dell’ex cancelliere Willy Brandt, tirato invece in ballo da Enrico Bullian per la politica dei piccoli passi fino al famoso crollo del 1989, è stata quella più usata da chi ieri ha parlato davanti a un pubblico di oltre 200 persone.
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Un primo, piccolo tabù comunque s’è infranto. Perché come rilevato da don Paolo e da don Flavio Zanetti, è la prima volta che la comunità cristiana (ma pure quella parte della città che in chiesa non ci mette piede) valica la soglia del centro culturale islamico. Ed è avvenuto ieri, dopo le 18, per seguire un incontro aperto a tutti sui temi dell’inclusione e del dialogo tra le diverse comunità. Presenti svariati consiglieri d’opposizione (nessuno del centrodestra) e amministratori pure da San Pier e Turriaco.
Incipit scandito da una breve preghiera musulmana pronunciata dal presidente onorario del Darus Bou Konate, seguita dalla benedizione alla riunione impartita dal parroco del Sant’Ambrogio, affinché «si possa fare qualcosa di buono per avvicinarci gli uni agli altri». Poiché «siamo uomini che credono in Dio e Lui vuole che andiamo tutti d’accordo». L’apertura della conferenza in via Duca d’Aosta, ancora a Konate: «È questo un posto che tutti conoscono, ma pochi ci entrano. Un luogo normalissimo, non ha nulla di particolare, però a noi piace particolarmente». Ha spiegato come l’evento sia «nato per caso e, come tutte le cose di questo tipo, spero si riveli fruttuoso». «Non è – ha sottolineato – un momento molto favorevole per l’immigrazione e l’Islam in Italia: sappiamo bene le difficoltà che stiamo incontrando. A New York s’è concessa Times square per il Ramadan, qui lottiamo ogni giorno per avere un posticino. È molto trieste. Sono 40 anni che vivo in Italia e non ho mai passato un mese sacro così. Ma le difficoltà le creano uomini e donne e quindi passeranno».
Konate ha accennato alla “norma anti moschee” recentemente approvata dalla Camera e ora al vaglio del Senato: «Una legge, quando è scritta contro una parte dei cittadini, è brutta. Si sta cercando di far sì che in centri come questo non si possa esercitare il culto. Penso che tanti di voi facciano fatica a capire».
«La preghiera – ha puntualizzato – occupa qui l’8% dell’attività svolta. Sopra il pianterreno ci sono due appartamenti sigillati ormai da due e quattro anni e mezzo, che non possiamo usare: era meglio non acquistarli». E quindi l’obiettivo dell’incontro: «Dare una prospettiva di ciò che si può fare in futuro». L’esempio? «Londra – sempre Konate – dove è normalissimo vedere una vigilessa che sotto il casco indossa l’hijab. Tutti possono vivere in una comunità unita e sono convinto che in ciò Monfalcone possa diventare palestra: nessuno nega che il numero di immigrati sia aumentato tantissimo, ma era per certi versi prevedibile. Non si può buttare nessuno a mare».
Quindi don Flavio: «Siamo qui per cercare di aprire alcune prospettive, nella nostra zona ci sono delle leggi che ci danno delle opportunità. Cosa possiamo fare di buono? Certi spazi e occasioni si possono costruire». Il parroco ha invitato a due appuntamenti a Staranzano, l’incontro con Santi Grasso e Nader Akkad su Cristianesimo e Islam (28/6) e la festa dei Popoli (30/6). «Non si cambierà il mondo – ha concluso – ma queste cose servono per costruire relazioni». La parola è quindi passata a Sergio Serra (Comunità Timavo, agenzia Duemilauno) e Giovanna Alzetta (Cas Turriaco), che assieme ai migranti pachistani Ali Faizan e Chandek hanno portato esempi di integrazione e parlato di cooperazione sociale, trasmettendo anche numeri e dimensioni dei fenomeni.
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Al consigliere regionale Bullian (Patto) è toccato infine il compito «infausto e terribile» (ipse dixit) di illustrare la legge regionale 9/2023, che «all’articolo 8, dedicato alle politiche socio-educative, finanzia progetti da un minimo di 10 mila a un massimo di 100 mila euro, con scadenza 31 maggio». Il fine è di mettere assieme fino a cinque partner e creare una rete, per esempio nelle attività di doposcuola e corsi di italiano (tra il pubblico anche l’Ami con Arturo Bertoli) per agevolare l’integrazione. Un progetto che potrebbe vedere insieme parrocchie e associazioni culturali islamiche, come «soggetti istituzionali». Una prima breccia, «auspicando poi la domanda sia finanziata», per buttare giù il muro.
