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Stragi di “matrice fascista” e anni di piombo: il giorno della memoria con Giovanni Tamburino e Gianni Cipriani

«Una giornata in memoria delle vittime del terrorismo», l’appuntamento del 9 maggio a Tivoli, alle 17,30, nel Museo civico in via della Carità 1 (Iniziativa nel ciclo “Tivoli città della pace e del dialogo ideata da Gianni Cipriani) si fregia della presenza straordinaria del dottor Giovanni Tamburino, magistrato che mai si piegò ai tentativi, persino di origine istituzionale, di negare, nella pratica, la portata eversiva delle organizzazioni neofasciste, ciò persino quando i cosiddetti “circoli” o “associazioni culturali” – come si intendeva, ad esempio, Ordine nuovo – fecero sentire la loro voce mediante sconvolgenti attentati che provocarono centinaia e centinaia di vittime. Attentati ai quali il Paese reagì invece orgogliosamente, riuscendo viceversa a consolidare la democrazia.


Un aspetto decisamente particolare e significativo della vicenda, è rappresentato dal fatto che i magistrati Giovanni Tamburino e Vittorio Occorsio vengono assunti “a bersaglio” dal terrorista-nero Pierluigi Concutelli, che si interrogò su quale dei due assassinare per primo.


Così, contro entrambi, contro un impegno seriamente professionale, Pierluigi Concutelli agisce, imbraccia il mitra «Ingram-Marietta» (numero di serie 2-2-000981) e decide che tra i due debba essere punito Vittorio Occorsio in quanto persecutore del ricostituito partito fascista pur se con l’appellativo «Ordine nuovo».


A quel tempo Concutelli frequentava abitualmente Tivoli, socio del «Circolo La Rochelle», fondato e gestito da Paolo Signorelli, l’insegnante di matematica nel liceo scientifico cittadino “Spallanzani” anch’egli tra i fondatori di “Ordine nuovo”. I terroristi, per «comodità territoriale» come si constaterà nei processi a loro carico, riuniti in quei locali, decidono per Vittorio Occorsio, al cui assassinio partecipano direttamente anche i tiburtini. Sergio Calore, affittuario dell’appartamento di via dei Foraggi a Roma, sede del «gruppo di fuoco» di Concutelli, e Aldo Stefano Tisei, vivandiere anche nell’altro attentato contro Mario Amato, il giudice con i buchi sotto le scarpe.


Tutto avviene in un contesto contraddistinto sin dall’inizio, dalla strage di piazza Fontana, a Milano, il 12 dicembre 1969, Banca nazionale dell’Agricoltura (17 morti, novanta feriti), l’atto iniziale della strategia eversiva che nel nostro Paese si espresse dappertutto. Una particolarità, pressoché ignorata, il crimine che colpì la BnA quel 12 dicembre, fu il primo di cinque attentati compiuti in 53 minuti di quello stesso pomeriggio a Roma e Milano.
Tre nella capitale, contro la filiale della BnL (Banca nazionale del Lavoro) in via San Basilio, ancora a Milano, dove una bomba inesplosa venne ritrovata in piazza della Scala; conclusione a Roma, in piazza Venezia, all’Altare della Patria. Effetto, 16 feriti.


La “strategia della tensione” riprese il 28 maggio 1974 a Brescia, con l’attentato in piazza della Loggia (8 morti, 102 feriti); per concludersi con le bombe alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980 (85 morti oltre 200 feriti). Stragi che le indagini hanno definitivamente sanzionato di «matrice fascista».


Illustrato il contesto, a combattere contro i terroristi, uomini in divisa o con la toga. Scelta che non pochi pagheranno con la vita.


Il terrorista nero Pierluigi Concutelli, il “capitano” di Ordine nuovo, tra i «magistrati-nemici» colloca, come detto, Giovanni Tamburino, giudice istruttore a Padova, colpevole di aver ordinato l’arresto dei fondatori della «Rosa dei Venti», l’organizzazione collaterale alla X Mas del principe Junio Valerio Borghese, altresì presidente del Msi con segretario Giorgio Almirante.


In quel momento, il “principe nero” è alla ricerca del supporto delle famiglie mafiose perché impegnato nella preparazione del “golpe dell’Immacolata”. Negli atti giudiziari si cita l’incontro con i capifamiglia a casa di Giuseppe “Pippo” Calderone a San Giovanni La Punta, in provincia di Catania, summit convocato da Luciano Liggio. Oggetto, decidere se partecipare al golpe, come richiesto dal “principe nero”. Junio Valerio Borghese, (cfr.: interrogatorio giudice istruttore di Palermo, 4 dicembre 1984; deposizione Commissione parlamentare antimafia, 16 novembre 1992; interrogatorio maxiprocesso antimafia, 9 gennaio 1996; rogatoria internazionale a Marsiglia, 24 giugno 1987 e 9 novembre 1987; sentenza-ordinanza del G.I. Guido Salvini del 18 marzo 1995, p. 210).


Nel summit di San Giovanni La Punta, tra i motivi della discussione – centrale se partecipare o meno al golpe –, fu la contropartita offerta dal principe golpista alle famiglie mafiose: se Cosa nostra avesse assicurato una partecipazione attiva, a colpo di Stato concluso, Junio Valerio Borghese sarebbe intervenuto nella revisione dei processi contro esponenti dell’organizzazione criminale.,impegnato nella preparazione del golpe dell’«Immacolata», nonché presidente del Msi, il Movimento sociale italiano. Del quale è segretario Giorgio Almirante.


Dal canto suo, Pierluigi Concutelli, fondatore del Mpon (Movimento politico Ordine nuovo), il 10 luglio 1976 riuscirà nell’intento assassinando il giudice Vittorio Occorsio a Roma.


La rivendicazione è nel volantino distribuito contemporaneamente: «La giustizia borghese si ferma all’ergastolo, la giustizia rivoluzionaria va oltre. Il tribunale speciale del Mpon ha giudicato Vittorio Occorsio e lo ha ritenuto colpevole di avere, per opportunismo carrieristico, servito la dittatura democratica perseguitando i militanti di Ordine Nuovo e le idee di cui essi sono portatori. Decine di anni di carcere sono stati inflitti ai suoi diri­genti…».

A Padova invece, Giovanni Tamburino prende il carico delle indagini avviate dai suoi colleghi di La Spezia. Spicca quindi mandati di cattura contro Giampaolo Porta Casucci, un medico che si dice nazista, il consigliere provinciale del MSI Giancarlo De Marchi e l’ex gerarca fascista Eugenio Rizzato. Successivamente, ebbero la loro parte nella stessa inchiesta, Sandro Rampazzo e Santo Sedona, arrestati pochi giorni prima per una rapina. Quel che il magistrato certamente non s’attende, è dover constatare che la questura di Padova dal 1969 è in possesso di documenti sequestrati dopo un sopralluogo in casa di Eugenio Rizzato, ma non li ha mai consegnati alla magistratura.
Documenti alquanti compromettenti, in quanto comprovanti l’impegno della “Rosa dei venti” nella preparazione (e nell’attuazione) di un colpo di Stato da effettuarsi con la complicità di alti ufficiali dell’esercito in sintonia con Junio Valerio Borghese.
Ai più giovani, «La Rosa dei venti», suggerisce il titolo di un serial televisivo.
Considerando quanto risulta, Giovanni Tamburino accusa il colonnello Amos Spiazzi, De Marchi, Rizzato, Cavallaro e Rampazzo (gran parte del vertice della «Rosa dei venti», tutti già agli arresti) di “cospirazione politica mediante associazione”. Tutto corrisponde, fino al momento in cui il generale Antonio Alemanno, capo dell’Ufficio sicurezza del SID (Servizio informazioni difesa), gli ingiunge di «non coinvolgere altri».


La reazione di Tamburino è contenuta in una lettera inviata al presidente della Repubblica Giovanni Leone: «Un’inchiesta giudiziaria aveva rivelato l’esistenza di un’organizzazione segreta alla quale appartenevano ufficiali dell’esercito; un membro dell’organizzazione, il tenente colonnello Amos Spiazzi, sosteneva di avere ricevuto l’ordine di prendere contatto con una banda di estremisti di destra e di finanziarla; l’ufficiale, per rivelare il nome di chi gli aveva dato quell’ordine, aveva chiesto il consenso di un superiore; era avvenuto un regolare confronto tra il tenente colonnello e un generale, il generale Alemanno, delegato dal capo del Sid generale Miceli: il generale Alemanno, presenti due magistrati e l’avvocato difensore, aveva ordinato al tenente colonnello Spiazzi, anche con cenni convenzionali, di non rivelare il nome del militare che gli aveva dato quell’ordine».


Tamburino chiede altresì al Capo dello Stato «che venga designato un generale di grado superiore a quello di Alemanno messo nelle condizioni di offrire una effettiva collaborazione alla giustizia liberando il tenente colonnello Spiazzi dal vincolo del segreto».


Un altro aspetto particolare dell’attività di Giovanni Tamburino riguarda l’individuazione nell’ambito dell’indagine «Rosa dei venti» del principe palermitano Gianfranco Alliata di Montereale, personaggio in attività da oltre mezzo secolo, a far data da Salvatore Giuliano con l’eccidio di Portella della Ginestra del 1º maggio 1947 fino a Junio Valerio Borghese.

Dietro tutte le trame’, nel libro, il giudice Giovanni Tamburino ripercorre le sue indagini sulla Rosa dei venti
Giovanni Tamburino, magistrato dal 1970 al 2015, componente negli anni ottanta del Consiglio superiore della magistratura presieduto da Sandro Pertini, cofondatore del Movimento per la giustizia di cui fu socio Giovanni Falcone, capo dell’Amministrazione penitenziaria dal 2012 al 2014, ha condotto l’istruttoria che nel 1974 ha evidenziato le complicità tra gruppi dell’estremismo neofascista, il servizio segreto del tempo e ambienti militari. È componente del Consiglio direttivo dell’Archivio Flamigni. Per Donzelli è coautore de L’Italia delle stragi (a cura di Angelo Ventrone, 2019).

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