Gli esperti la chiamano “ruminazione mentale” e la identificano come la nemica numero uno della nostra felicità. Un fenomeno che affligge un gran numero di persone ed è responsabile di una lunga serie di disagi, non solo emotivi e psicologici, ma anche fisici: se più di 8 italiani su 10 dichiarano di soffrire per ansia e stress, stritolati in una morsa che non allenta la presa nemmeno di notte, la dannazione di pensare troppo ne è sicuramente tra le principali cause. Lo sa bene la dottoressa Nancy Colier, una delle più celebri psicoterapeute statunitensi, docente universitaria e collaboratrice di testate prestigiose come Psychology Today e Discover, che nel tempo è diventata una delle maggiori esperte di “overthinking” a livello internazionale, consulente di importanti atleti professionisti.
“Nel corso di oltre venticinque anni di attività come psicoterapeuta”, commenta per IlFattoQuotidiano.it, “personalità fra le più diverse hanno varcato la soglia del mio studio, uomini e donne di ogni età ed estrazione sociale, con problemi, situazioni e storie differenti. Ma se i problemi si collocano su una scala che ha vari livelli di gravità, esiste quello che potremmo definire il problema universale, che è alla base se non all’origine di tutti gli altri e alla radice delle nostre ansie, nonché dell’insoddisfazione cronica che spesso ci attanaglia: il modo in cui noi ci relazioniamo coi pensieri nella nostra mente. È la relazione che intratteniamo con i nostri pensieri, in realtà, a farci più soffrire”.
“Dannazione, penso troppo!”, il suo ultimo bestseller, che dopo aver conquistato la vetta delle classifiche Usa esce ora in Italia per Libreria Pienogiorno, affronta con un percorso concreto e collaudato proprio questo tema caldissimo della nostra ansiogena contemporaneità. “Pensare troppo costituisce senza ombra di dubbio una forma di dipendenza, l’unica differenza sta nel fatto che noi fatichiamo a riconoscerla come tale. Inoltre, a differenza dalla dipendenza dalle sostanze, dalla droga o dal cibo, che concede generalmente pause tra un’assunzione e l’altra, la dipendenza dal pensiero ossessivo si manifesta incessantemente, senza interruzioni. L’aspetto incredibile della questione è che non importa quanta sofferenza ci infliggiamo rimuginando: noi continuiamo a farlo nell’assoluta convinzione che, prima o poi, questo ci porterà alla soluzione di qualsiasi problema ci tormenti. Perseveriamo, nonostante la prova tangibile da una parte dell’inefficacia della ruminazione e dall’altra della capacità dei pensieri ossessivi di renderci più ansiosi, più stressati e infelici. Continuiamo a credere, o a sperare, che comportarci sempre allo stesso modo possa condurci prima o poi a un risultato diverso. Ma facendo quello che abbiamo sempre fatto, otteniamo quello che abbiamo sempre ottenuto: niente”.
Perché rimuginare non serve affatto a trovare soluzioni illuminanti o miracolose, e tantomeno può rivelare i significati più veri e profondi della vita. “In realtà, il pensiero ossessivo produce effetti del tutto contrari: una sensazione di impotenza, di incapacità di agire, di prendere decisioni, di avanzare. A cui spesso possono accompagnarsi insonnia, disturbi dell’alimentazione, dell’intestino, della digestione, stanchezza cronica, nervosismo, rabbia, collera, e perfino comportamenti autodistruttivi, tutti elementi che minano la salute in modo più o meno grave. Per tutto il tempo in cui rimuginiamo, il nostro organismo si trova in una situazione estrema: sperimentiamo una forte tensione muscolare, il cuore batte forte, andiamo in iperventilazione... E, alla fine, siamo letteralmente esausti. Anche per questo è fondamentale uscire da questa spirale”. Già, ma come? “L’assunto del mio libro non è certo convincere a rinunciare a pensare. Del resto, non potremmo farlo neanche se volessimo. Pensare non solo è generalmente piacevole, ovviamente è anche utile: è ciò che ci permette di intraprendere qualsiasi progetto, a partire dal compilare la lista della spesa. Ma la ruminazione, il pensiero ossessivo, è l’esatto contrario: non solo è terribilmente stancante, è pure deleterio”.
L’obiettivo innanzitutto è contrastare la convinzione che noi siamo i nostri pensieri. “Perché non è vero affatto. Finché saremo convinti che il nostro benessere risieda nel contenuto dei nostri pensieri, ne saremo imprigionati. Io dico spesso che cercare di uscire con la ragione dalla spirale negativa di pensieri che ci affliggono – insomma, pensandoci ancora un po’ su – è come voler rimettere a posto le sdraio sul Titanic: semplicemente, non può funzionare”. Questo vale a maggior ragione per ciò che ci causa dolore, angoscia. “È un argomento spinoso, perché molti vedono il dolore come un rifugio. Ci identifichiamo con il dolore. È come se riuscissimo a separarci da tutto ma non dal dolore, perché è una cosa troppo importante. Quasi che, qualora lo abbandonassimo, ci facessimo un dispetto. Ma ovviamente questo continuo ritorno ai problemi e al dolore non crea alcuna soluzione: solo altri problemi”.
Nel suo libro, la dottoressa Colier suggerisce, tra i molti, un piccolo esercizio che può rivelarsi indicativo ed estremamente liberatorio: vivere un giorno come se non avessimo una storia. “Noi viviamo ogni istante con una stessa idea di noi stessi. Tutto gira intorno al nostro passato, a cosa abbiamo vissuto, a ciò di cui pensiamo di essere capaci e incapaci, al bagaglio che ci portiamo sulle spalle. Molto spesso tutto questo rappresenta non solo una limitazione ma anche un’illusione. Se invece riusciamo a mettere per un po’ da parte la nostra storia, è come se ci immergessimo nell’esistenza senza muta. E così viviamo l’esperienza di ciò che sta accadendo senza che sia corrotta da ciò che immaginiamo, da ricordi, condizionamenti, pensieri, idee e tutto quanto. È allora che cominciamo a sperimentare quanto può essere liberatorio, e anche proficuo, il potere di vivere il momento presente”.
L'articolo “Pensare troppo è una droga, crea dipendenza e fa male alla salute ”: i consigli dell’esperta per uscire dalla “dannazione” della ruminazione mentale proviene da Il Fatto Quotidiano.